Uccisero il figlio con un'autobomba, ora si candida alle Regionali «per Matteo e per la Calabria»

VIDEO | I coniugi Vinci confermano l'apprezzamento per la proposta di Pino Aprile: hanno pesato l'opzione etica e la critica al sistema dei partiti tradizionali (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Agostino Pantano
24 febbraio 2021
21:30

Lei si candida «per dare voce a Matteo» e, a sostegno della opzione etica per fare «pulizia negli enti», lui aggiunge: «perché i vecchi partiti non si prendono più cura dei calabresi». A casa Vinci, il giorno dopo l’annuncio della sfida elettorale che Sara Scarpulla accetta – correrà infatti sotto le insegne di “24 agosto-equità terriotriale”, il movimento fondato da Pino Aprile – i genitori del biologo ucciso con un’autobomba parlano con forti accenti critici verso il sistema, e sciorinano con parole semplici una piattaforma politica generale destionata a pesare molto nella competizione tra cambiamento e conservazione che si profila in Calabria.

«Io non volevo accettare – rimarca la mamma di Matteo Vinci – ma poi Pino mi ha fatto capire che la voglia di impegnarsi che aveva mio figlio, che è in linea con quello che “equità territoriale” persegue». In effetti i genitori di Matteo riguardano spesso il video del comizio con cui il figlio presentò la propria candidatura di rottura nelle elezioni comunali che si erano svolte poche prima della sua morte. Corde sentimentali, ma soprattutto politiche, quelle accarezzate dal movimento lanciato dallo scrittore meridionalista Aprile - che è uno degli architrave del progetto di svolta incarnato dal duo de Magistris Tansi - in una casa, a Limbadi, ancora oggi simbolo di resistenza dentro il feudo di uno dei clan più potenti, quello dei Mancuso, che Sara e suo marito Francesco hanno denunciato fino al processo in corso.


«Ancora oggi mi chiedo – prosegue con amarezza Sara – come mai Regione e Comune non si siano costituiti parte civile, perché questa paura della ndrangheta?».
Domande che si portano un grosso carico di indignazione, queste che come lei tanti calabresi si fanno, ed è per tale motivo che la mamma di Matteo – esempio di una calabresità avvinghiata dal dolore ma vogliosa di riscatto corale – al di là di quel simbolo di un’antimafia concreta che tutti le riconosco, dice di volersi battere «contro quegli enti, soprattutto nei paesi, che con le loro collusioni creano ingiustizie contro la povera gente».

Giornalista
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