La sconfitta senza appello del Pd e della vecchia nomenclatura

Inevitabile adesso un cambio di marcia e una gestione rinnovata del partito
di Riccardo Tripepi
7 giugno 2016
10:01

I partiti cominciano a metabolizzare il voto di domenica scorso. E soprattutto in casa Pd il giorno dopo le elezioni ha il sapore acre della sconfitta.


Il partito di Magorno perde a Cosenza in mala maniera dopo una campagna elettorale macchiata da continui errori di valutazione e sui tempi delle decisioni. La scelta di Guccione è stata tardiva e anche la politica delle alleanze ha lasciato a desiderare. La discesa di Verdini al fianco del centrosinistra, poi, sembra aver determinato un ulteriore distacco dall’elettorato. Il dato venuto fuori dalle urne è impietoso: se Mario Occhiuto sfiora il 60%, Guccione insieme ad Enzo Paolini e al Nuove Centrodestra dei fratelli Gentile arriva a mala pena al 30%.



Una vera e propria ecatombe. Nella quale si è consumato anche un piccolo giallo. Guccione ha preso 8 punti percentuali in meno rispetto alle proprie liste. Il che per i malpensanti significa che più di qualcuno all’interno dello schieramento del centrosinistra ha giocato a perdere. Troppi franchi tiratori, insomma.


Se poi si guarda a Crotone dove la Barbieri è riuscita ad al ballottaggio con Pugliese sostenuto dalla famiglia Sculco, pur con il centrodestra fuorigioco, si capisce che il risultato complessivo non può essere soddisfacente. Un risultato reso ancora più amaro da quanto avvenuto a Platì, dove con l’abbandono di Anna Rita Leonardi, a pochi giorni dal termine per la presentazione delle liste, ha sancito la fuoriuscita democrat dal centro aspromontano. Un abbandono non ancora chiarito nel dettaglio e arrivato dopo quasi un anno di campagna elettorale volta a dimostrare l’impegno per uno dei Comuni in cui si sente di più la pervasività della criminalità organizzata e dove da diverse tornate le elezioni venivano annullate per mancato raggiungimento del quorum.


Nelle stanze dei bottoni del Pd, insomma, la tensione è alle stelle. E consola poco la circostanza che anche a livello nazionale le cose non siano andate molto bene, tanto che lo stesso premier Renzi si è detto deluso per il voto nel suo complesso. In Calabria, infatti, le cose erano andate male anche quando il vento gonfiava al massimo le vele del renzismo. Alle elezioni precedenti, infatti, il centrosinistra aveva perso a Lamezia Terme, a Vibo e anche a Gioia Tauro.


La sconfitta di Cosenza, roccaforte di centrosinistra e provincia che esprime il governatore Mario Oliverio, rappresenta dunque il punto finale di un percorso calante per il centrosinistra. E chiama alle responsabilità i dirigenti. A partire dal segretario regionale Ernesto Magorno e via via a scendere verso i dirigenti locali. Perché non fare le primarie né a Cosenza, né a Crotone? Se lo stanno chiedendo in molti tra i militanti del centrosinistra. Avrebbero legittimato il vincitore e reso più forte il candidato. Esempi recenti sono legati a Giuseppe Falcomatà a Reggio Calabria e allo stesso Mario Oliverio con le primarie per la scelta del governatore. Da quella vittoria il centrosinistra, nell’ultimo anno e mezzo, non è riuscito ad azzeccarne una. Dalla scelta della giunta dei tecnici che ha creato un pericoloso scollamento con il Consiglio regionale, alle gestioni delle varie competizioni elettorali, è stato un crescendo di tensioni e di spaccature. Che adesso sono arrivate tutte insieme a chiedere il conto. E pare difficile che possa bastare l’ombrello magico di Marco Minniti per salvare tutti e rimettere insieme i cocci. Stavolta c’è bisogno di un radicale cambio di marcia e di un confronto reale (non le solite assemblee regionali con il silenziatore) che possa fare spazio ad un ricambio generazionale anche e soprattutto nella gestione del partito.

 


Riccardo Tripepi

 

Giornalista
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