A San Giuseppe “pasta e ciciari”: ecco come nasce la secolare tradizione calabrese

L’usanza di consumare e offrire questa pietanza semplice ma gustosa in occasione del 19 marzo affonda le radici nella volontà di celebrare il protettore dei poveri
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di Rocco Greco
17 marzo 2018
11:28
Pizzo, la distribuzione di pasta e ceci
Pizzo, la distribuzione di pasta e ceci

Poiché a Giuseppe e Maria nessuno diede ospitalità durante il viaggio che intrapresero per andare a registrarsi, secondo il censimento indetto da Cesare Augusto per cui era necessario recarsi al proprio paese natale, san Giuseppe, secondo la tradizione, oltre ad essere il patrono dei falegnami e degli artigiani, è anche il protettore dei poveri.

 

Offerta ai poveri e alla comunità

Alla Madonna fu negato un riparo per il parto del Messia. È da questo concetto che nasce nei tempi antichi l’usanza, in occasione della festività di san Giuseppe, di offrire ai poveri un pasto caldo. In questa ricorrenza non c’era “foculàru” in cui non cuocesse una “pignata, ‘nu testu, cu’ ciciàri” ed i poveri che bussavano a quella casa erano ospiti graditi, come se accogliessero Giuseppe e Maria con il Bambinello.
In molti centri, nelle diverse provincie della Calabria, in occasione della festività di san Giuseppe la tradizione non ha mai smesso di essere perpetrata, ed ancora oggi, quella di cucinare la pasta con i ceci ed offrirla alla comunità, in ricordo di quando lo si faceva per i poveri, offrendo loro un pasto caldo e nutriente, è sempre attuale. In alcuni di questi centri, in molte case vengono invitati tre poveri, in memoria, appunto, della famiglia di Betlemme.


 

La tradizione a Pizzo

A Pizzo, in provincia di Vibo Valentia, la tradizione vuole che quella della pasta con i ceci avvenga il 18 di marzo, vigilia di san Giuseppe.
In questa data, la prelibata pietanza viene distribuita ai fedeli dall’ Arciconfraternita del Santissimo nome di Maria, meglio conosciuta come chiesa di San Sebastiano.

Quella che anticamente voleva essere semplicemente un pasto caldo che in questa occasione la chiesa offriva ai più bisognosi in forma di carità ma, anno dopo anno e secolo dopo secolo, per l’intera comunità è divenuto un appuntamento da non mancare, simbolo di devozione a san Giuseppe, il santo patrono dei lavoratori e custode della famiglia, da sempre oggetto di viva e sincera venerazione da parte di ogni pizzitano.

Nei locali di pertinenza della chiesa, i confratelli della congregazione, con a capo il priore, già dalla sera prima mettono i ceci in ammollo in capaci calderoni e la mattina dopo, sul presto, inizia la cottura che rende morbidi e prelibati i legumi secchi.
A mezzogiorno, dopo avere celebrato la Santa Messa, il parroco, benedice il preparato ed inizia la distribuzione della pasta con i ceci. Una folla vociante già da diverse ore è in coda con pentole e pentolini per assicurarsi la pietanza ancora calda e gustosa, dal caratteristico profumo di finocchietto selvatico, da portare a casa e consumare con la famiglia. Molti preferiscono degustarla sul posto, venendosi così a formare davanti alla chiesa e lungo la strada che la costeggia comunelle di persone che non disdegnano di accompagnare la prelibata pietanza con un buon bicchiere di vino. Si tratta di una forma di agape molto suggestiva da vivere insieme nel rispetto della tradizione e della devozione a san Giuseppe.


Il senso della manifestazione l’ho voluto racchiudere ed esprimere in versi proprio nell’idioma pizzitano:

“Pe’ tradizioni, chi veni di lundanu
vigilia ‘i San Giuseppi ndi mangiamu
pasta cu i ciciari chi faci Sambestianu!

 

Pô pizzitanu è devozioni e vandu
si va e si pijja ‘ngloria di lu Sandu!”

Giornalista
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