Un poliziotto narcisista, un assistente siriano irresistibile e un caso irrisolto per stagione: la serie tratta dai romanzi di Jussi Adler-Olsen è il classico giallo estivo senza pretese godibile come un buon finger food
Tutti gli articoli di Good Morning Vietnam
PHOTO
Dept Q è una serie inglese. Una premessa necessaria. Perché lo stile, il taglio e i volti non sono quelli della solita corazzata “that’s America, boys”, né della compagine malinconica e pallida del Nord Europa o chiassosa del team Corea.
La serie, che avrà un seguito con tutta probabilità nella prossima primavera, è tratta da un’opera composta da dieci romanzi dello scrittore danese Jussi Adler-Olsen. Non patirà quindi la mancanza di idee per un bel pezzo, se il pubblico continuerà a premiarla come ha fatto con il debutto.
La trama segue lo schema classico del noir a doppio binario narrativo. C’è una linea lunga che racconta la vicenda personale del protagonista: Carl Morck (Matthew Goode, che dopo alcune dichiarazioni si è giocato la possibilità di essere il prossimo James Bond), un poliziotto borioso e intelligentissimo, dotato di un ego strabordante e dell’acume affilato del narcisista con il vizio del sarcasmo. Durante un sopralluogo, un colpo di pistola sparato da un killer ignoto lo ferisce gravemente; accanto a lui, un collega rimane paralizzato e un giovane agente perde la vita.
Questa long story è il fil rouge che, presumibilmente, accompagnerà tutte le stagioni: la caccia all’assassino misterioso.
Parallelamente, ogni stagione affronterà un cold case risolto dal protagonista e dalla sua squadra improvvisata, chiamata a rendere operativo il nuovo Dept Q, relegato nei sotterranei della Centrale diretta da un volto noto agli appassionati di Game of Thrones (Kate Dickie, lady Tully).
Il canovaccio non profuma certo di originalità, ma nel noir, nel giallo e nel thriller ciò che conta davvero sono i personaggi, il casting (che fa l’80% del successo), i dialoghi, il ritmo e il montaggio.
Note al merito: i volti sono azzeccati, i comprimari efficaci (l’agente siriano, che ricorda nelle fattezze il Groucho di Dylan Dog, diventerà il vostro preferito in pochissimo tempo), le battute ben scritte, il montaggio alternato fa quel che deve fare.
Insomma, funziona. Non è un capolavoro del genere, questo no. Ma è la classica serie che si gusta in fretta e con gusto, un finger food ben fatto, con ingredienti di qualità.
Certo, il protagonista a volte risulta sopra le righe, quasi estenuante nella sua continua esibizione di superbia; e qualche svolta narrativa è un po’ telefonata. Ma un secondo giro lo si fa volentieri.