Giuseppe Frandina, ex dirigente del reparto di Pediatria dell’ospedale di Crotone, offre una disamina senza reticenze del sistema sanitario pubblico in Calabria ma non solo: «Oggi chi resiste è costretto a scegliere tra professione e famiglia guadagnando molto di meno»
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Giuseppe Frandina
La sanità in crisi, gli ospedali che vivono momenti difficili, la medicina d’urgenza spesso nel caos. Ne parliamo con il dottor Giuseppe Frandina già
Dottore cosa sta succedendo?
«Negli ultimi anni stiamo assistendo a un fenomeno sempre più evidente e preoccupante: un numero crescente di medici sta abbandonando il sistema sanitario pubblico per migrare verso il settore privato o verso forme ibride come cooperative, libera professione, intramoenia o medicina territoriale privatizzata».
Questa tendenza non è affatto casuale.
«La responsabilità è da attribuire a una politica miope, che negli ultimissimi anni ha dimostrato l'incapacità di programmare il fabbisogno medico in un sistema sanitario sempre più complesso. La carenza di medici non è stata una conseguenza inattesa, ma il risultato di una precisa strategia politica che ha favorito la transizione da un sistema pubblico a un sistema misto pubblico-privato, salvo poi scaricare ogni responsabilità proprio sui medici».
Eppure ambienti politici parlano di colpe e responsabilità del personale medico.
«Un atto di vigliaccheria sociale e politica, misto a incompetenza. Oggi, alcuni esponenti politici populisti riversano la colpa sul comparto medico, ignorando che a generare questa crisi è stata proprio quella "politica apparente" che ha agito per anni senza una visione, ma solo per logiche di consenso immediato».
Da più parti le accuse vanno al sistema sanitario nel suo complesso, che si sarebbe reso responsabile di quanto da troppi anni sta accadendo.
«Il sistema pubblico non solo non ha saputo valorizzare la figura centrale del medico e del personale sanitario, ma ha deliberatamente costruito un contesto che impone enormi sacrifici personali senza offrire in cambio un adeguato riconoscimento economico, umano o professionale. Oggi, medici, infermieri e tecnici sanitari si trovano costretti a rinunciare a una vita privata, alla famiglia, agli affetti, pur di garantire il funzionamento di un sistema sempre più fragile. Il tutto con stipendi che non tengono il passo con la responsabilità assunta e con una tassazione sempre più opprimente».
In tutto questo, gli Ordini professionali tacciono.
«Nessuna difesa, nessuna presa di posizione forte. Il silenzio degli organismi che dovrebbero tutelare la dignità e la sicurezza dei professionisti è assordante. E così, chi ha creato il problema trova oggi terreno fertile per accusare proprio chi fugge da un sistema inefficace ed inefficiente. Ma non è forse esattamente quello che si voleva ottenere?»
Si parla di una crisi costruita ad arte. Basterebbe guardare un po’ indietro e troviamo un cumulo di errori e di mancate scelte. Facciamo qualche esempio.
«Accesso all'università a numero chiuso, privo di una reale programmazione del fabbisogno medico; carichi di lavoro insostenibili; turni massacranti, straordinari non retribuiti, reperibilità cronica; carenza di personale strutturale; aumento delle responsabilità cliniche e burocratiche; retribuzioni inadeguate rispetto all'impegno, alla formazione e al rischio professionale. La carenza di medici in Italia è il risultato di una serie di fattori determinati da decisioni politiche, economiche e organizzative prese nel corso degli anni».
Per decenni, il Ministero dell’Istruzione e il Ministero della Salute hanno sottostimato il fabbisogno reale di medici. Il numero chiuso a Medicina (introdotto nel 1999) ha portato a un accesso limitato, senza un adeguato riallineamento ai bisogni del sistema sanitario.
«Le politiche di austerità e i continui tagli alla spesa sanitaria hanno ridotto le assunzioni e peggiorato le condizioni di lavoro, spingendo molti medici a scegliere l'estero o il privato. Anche se il numero di laureati in Medicina è stato aumentato negli ultimi anni gli effetti si vedranno a lungo termine ma aver lasciato i posti nelle scuole di specializzazione insufficienti crea un “imbuto formativo”. Il sistema sanitario italiano è regionalizzato. Alcune Regioni per poter rispettare i piani di rientro hanno programmato male il turnover, bloccato i concorsi e non hanno saputo attrarre giovani medici, soprattutto nelle aree periferiche del Sud».
Oggi i medici si trovano a lavorare sotto un carico di lavoro insostenibile e mal organizzato.
«Un medico competente, etico, con alto valore professionale, è oggi costretto a scegliere tra una vita personale dignitosa ed il servizio alla collettività. Chi lavora bene è sovraccaricato, pregato dai pazienti di "fare eccezioni", di visitare fuori orario, di rispondere sempre e comunque. Ma a che prezzo?»
Ma cosa possiamo fare?
«Occorre denunciare con forza questo meccanismo perverso e chiedere una riforma vera, fondata su investimenti nella salute pubblica, sul riconoscimento del lavoro medico e sulla valorizzazione delle professioni sanitarie. Altrimenti, la fuga verso il privato non sarà un problema: sarà la regola. E a pagarne le conseguenze, come sempre, saranno i cittadini. Tutto questo deve passare attraverso una reale riorganizzazione del sistema con criteri di modernità».
La narrazione, in Italia in particolare, è uno strumento potente nella gestione del consenso.
«Spesso, ciò che viene raccontato dai leader politici, dagli opinionisti, da alcuni giornalisti non corrisponde alla realtà oggettiva dei fatti. Si tratta piuttosto di versioni semplificate o distorte, funzionali a interessi specifici. In Italia, questo meccanismo è oggi più che mai evidente nella sanità pubblica».
Ma come siamo potuti arrivare a questo stato di cose?
«La crisi della sanità pubblica italiana è il risultato di anni di scelte politiche: tagli progressivi al finanziamento, regionalizzazione disomogenea, carenza cronica di personale sanitario e privatizzazione strisciante. Tuttavia, la narrazione populista tende a spostare l’attenzione su altri fronti: e al centro del crollo del sistema viene spesso inserita la figura del medico. In questo modo, si evita di affrontare le responsabilità politiche dirette e si indirizza il malcontento verso bersagli facili e emotivamente coinvolgenti. Così, la narrazione non solo distorce i fatti, ma crea una realtà alternativa, spesso più influente della realtà concreta. In questa realtà fittizia, l’indignazione cresce, ma non si traduce in soluzioni efficaci: si rafforzano invece scelte politiche miopi e si legittimano interventi che aggravano il problema, come l’ulteriore spinta verso la privatizzazione».
La situazione tende così a finire fuori controllo
«Le conseguenze sono gravi: si affievolisce il dibattito pubblico fondato sui dati concreti e sull’analisi, si diffonde la disinformazione, si mina la fiducia nelle istituzioni pubbliche. La sanità, da diritto universale, rischia di diventare un privilegio per chi può permettersi il ricorso al privato. E intanto, la narrazione populista continua a offrire spiegazioni semplici per problemi complessi, impedendo di affrontarli alla radice».
La deriva in cui ci troviamo come si ferma?
«Per contrastare questa deriva, è necessario restituire centralità ai fatti, alla trasparenza e a un'informazione critica. Solo così è possibile ricostruire una narrazione alternativa: non ideologica, ma fondata sulla realtà e sul diritto di ogni cittadino a un servizio sanitario pubblico, equo ed efficiente».