A 22 anni, parla con la calma di un uomo che ha imparato a conoscersi in profondità. Non alza mai la voce, non cerca luci artificiali, non rincorre polemiche né scorciatoie
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Jannik Sinner
Nel mondo dello sport, raramente si incontrano figure che riescono a fondere con tale armonia talento, disciplina, educazione e umanità. Jannik Sinner non è solo il numero uno del tennis mondiale. È, prima di tutto, un esempio raro di maturità precoce, di eleganza silenziosa, di una grandezza che va ben oltre le classifiche Atp.
Cresciuto tra le montagne dell’Alto Adige, in una famiglia semplice e operosa di San Candido, Jannik ha respirato fin da piccolo l’aria limpida del sacrificio. Figlio di un cuoco e di una cameriera, ha portato con sé sui campi di tutto il mondo la riservatezza e la concretezza della sua terra. In un’epoca in cui si premia spesso l’esteriorità, Sinner ha scelto il silenzio del lavoro quotidiano, la sobrietà nei gesti, l’essenzialità come stile.
Quello che colpisce di lui, al di là del rovescio incrociato, della tenuta atletica, della velocità con cui ha scalato il ranking mondiale, è il suo portamento umano. A 22 anni, parla con la calma di un uomo che ha imparato a conoscersi in profondità. Non alza mai la voce, non cerca luci artificiali, non rincorre polemiche né scorciatoie. In conferenza stampa, davanti ai microfoni, è misurato, pacato, rispettoso. Ha fatto della discrezione una cifra esistenziale, della disciplina la sua compagna quotidiana.
La sua carriera, esplosa sotto la guida sapiente di Riccardo Piatti e poi rifinita dall’equilibrio creato con Simone Vagnozzi e Darren Cahill, è un viaggio nella coerenza. Ogni passo di Sinner è stato ponderato, mai affrettato, sempre finalizzato a migliorare. Anche nelle sconfitte – come quelle sofferte contro Djokovic o Alcaraz – non ha mai cercato alibi, ma solo spunti per crescere. Ha imparato ad aspettare il proprio momento, e quando è arrivato – tra la vittoria della Coppa Davis, il trionfo agli Australian Open e l’approdo al numero uno del mondo – non ha cambiato una virgola del suo atteggiamento.
C’è qualcosa di profondamente etico in Jannik Sinner. Non è un predicatore, non lancia proclami. Ma il suo modo di stare nel mondo è già una dichiarazione. In un circuito spesso segnato da eccessi e protagonismi, lui rappresenta l’antitesi: lo sportivo che parla poco e vince molto, che si allena con ossessione e si comporta con umiltà, che ama l’Italia ma rifiuta ogni retorica.