Dagli esordi con la Sampdoria, al salto al Milan, fino all’approdo tra le fila giallorosse sotto la guida di Palanca e Ranieri: «Nacque tutto per caso, durante i festeggiamenti per la promozione in Serie A»
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Un percorso iniziato dal basso, senza favoritismi ma intriso di merito. Era un’altra epoca e un altro calcio quello di Tato Sabadini, per certi versi anche più difficile non solo per i grandi campioni che popolavano il calcio di quegli anni, ma soprattutto per i sacrifici che erano necessari per andare avanti e coltivare un sogno.
L’iconico terzino (poliedrico) però ce l’ha fatta a ritagliarsi il suo spazio in un mondo che molto spesso spinge alcuni più di altri. Il tempo deve tornare indietro di oltre mezzo secolo per ripercorrere le tappe di colui che vanta 393 presenze e 17 gol in Serie A, risultando tutt’ora fra i primi 100 giocatori con più presenze nella massima serie. Una sorta di viaggio da nord a sud il suo dal momento che inizia da Genova (sponda Sampdoria) continua a Milano (sponda Milan) e scende poi a Catanzaro. Ma andiamo con ordine.
Gli inizi della carriera
Un vero e proprio
amarcord quello che Sabadini concede in esclusiva ai microfoni di LaC Ne ws24: «Provengo da un paesino di neanche duemila abitanti, e sin da piccolo ho avuto la passione per il cacio. Mi ricordo quando mio padre mi regalò un pallone numero 3, avevo circa 5 anni, ed ero sempre nel cortile a giocare. All’età di 14 anni ero tra i ragazzi più promettenti della Scuola del paese, anche perché ero velocissimo. Agli albori giocavo ala destra e ho cominciato dalla Categoria Allievi, ma in quel periodo feci anche un provino con la Juventus, secondo loro però ero ancora troppo giovane e mi rinviarono all’anno successivo. Nel frattempo, però, feci un provino con l’Inter e stavolta andò bene anche se ciò non mi permise di intraprendere l’avventura nerazzurra a causa di alcuni aneddoti. Il mio talent scout, infatti, mi aveva comprato per 600mila lire e voleva rivendermi all’Inter per circa un milione e mezzo. La società nerazzurra però si informò e scoprì tutto, mandandolo via. Così fui costretto a tornare a casa e trovarmi un lavoro, continuando a giocare lì».«In seguito approdai alla Sampdoria dove ho iniziato dagli Allievi. All’epoca giocato punta e grazie alla mia velocità feci diversi gol. La nota negativa era che nella pensione eravamo in troppi, ricordo che c’era anche Marcello Lippi, e dunque dovevano sfoltirla mandando a casa i ragazzi che venivano da fuori e di conseguenza che costavano troppo. In lista c’ero pure io. Fato però volle che il tecnico della Primavera blucerchiata mi volle tenere e in quella stagione mi misi veramente in mostra».
Un continuo crescendo per Sabadini, anche perché quell’anno le sorprese non erano ancora finite e stava per arrivare quella più bella: «Era la stagione 1965-66 e mancavano due partite alla fine del campionato. In quell’occasione si fecero male due giocatori della prima squadra e allora venni convocato dal tecnico della Samp, Fulvio Bernardini, per la gara contro il Napoli. Avevo appena fatto 17 anni e il solo pensiero di affrontare gente come Sivori, Altafini e Juliano mi faceva tremare le gambe. Fu proprio mister Bernardini a inventarmi terzino e, nella stagione 1970-71, venni premiato come miglior giovane del campionato».
Il Milan e il rapporto con la Nazionale
Sei stagioni alla Sampdoria che contribuirono a farlo esplodere definitivamente, grazie anche al tecnico Bernardini, e che gli valsero il definitivo salto di categoria. L’estate del 1971, infatti, fu quella in cui la Serie A si accorse e desiderava Sabadini: «Io ero milanista fin da bambino ma ero stato opzionato dalla Juventus, con i dirigenti della Sampdoria che avevano già parlato con Boniperti. Diverse erano le squadre interessate a me, tra cui il Milan, e fui io a scegliere i rossoneri e annullare gli accordi con la Juve. Nel primo anno con il Milan, nella stagione 1971-72, vincemmo la Coppa Italia in finale contro il Napoli, dopo aver battuto in semifinale l’Inter grazie anche a un mio gol. Inizialmente ho avuto qualche difficoltà perché un conto era giocare nella Samp e un altro per il Milan. Nella stagione 1972-73 vincemmo la Coppa delle Coppe a Salonicco ma perdemmo il campionato nella partita contro il Verona. I primi mesi furono difficili ma venni spronato da Rivera e riuscii a fare un grosso campionato, guadagnandomi anche la Nazionale e bagnando il mio esordio contro il Lussemburgo». Con il club rossonero Sabadini mise a referto 244 presenze in sette stagioni.
Un rapporto particolare quello con la Nazionale e che avrebbe potuto maturare in epiloghi sicuramente migliori e più consoni ai meriti di Tato: «Dal mio esordio in azzurro ricordo anche le partite contro Inghilterra, Germania e Brasile. Proprio contro la selezione verdeoro presi 9 in pagella da parte dei giornali e mi portai a casa anche un 7,5 di Gianni Brera, e sappiamo che per lui un 7,5 era come un 10. Saltai diverse partite, anche importanti, a causa di pressioni esterne che mi impedivano di giocare». E ancora: «Durante l’estate mi beccai la pubalgia e fui costretto a stare fermo per circa due mesi, perdendo così quattro partite della Nazionale. In seguito fui convocato per i Mondiali del 1974 e con mister Valcareggi che credeva molto in me, ma alcune pressioni esterne mi impedirono dire la mia sia in quel Mondiale che nelle altre occasioni con la Nazionale, come nel match contro la Jugoslavia».
L’approdo al Catanzaro
Nel 1978 Sabadini inizia la sua avventura con la maglia dell’ambizioso e rampante Catanzaro, anche se tutto nacque per caso: «Eravamo venuti a Catanzaro a fare un’amichevole per festeggiare la promozione in Serie A dei giallorossi – ricorda Tato – e dopo la gara ci spostammo a Copanello a festeggiare. All’epoca suonavo la chitarra e avevo anche inciso un disco. Così andai sul palco e mi misi a cantare e suonare e da lì nacque la simpatia con la società catanzarese, nella quale rimasi per quattro anni e mezzo. Nell’ultimo anno ci furono frizioni con alcuni giocatori che si credevano essere già grandi e formati. Era una grande squadra e ricordo compagni come Palanca, Improta, Ranieri, Orazi, Rossi. Ricordo l’anno in cui retrocesse il Milan e ci salvammo noi a Udine. Perdevamo 1-0 e in quel match facemmo gol sia Palanca che io di testa. Nell’anno successivo, nella stagione 1979-80, feci 30 partite su 30 e ci salvammo, mentre nella stagione dopo arrivammo settimi».