Il Cosenza e il gioco degli ologrammi sognando la Serie A

La peggiore squadra costruita nell'era Guarascio continua a deludere i tifosi. Le promesse non aiutano a maturare ambizioni che dalle parole del sindaco Occhiuto spingono a guardare con ottimismo al futuro. Manca un progetto. E per il dna di questo club, serve solo Roselli
di Valter Leone
22 novembre 2017
13:46

Le delusioni per una sconfitta sono sempre difficili da metabolizzare, figuriamoci quella dopo un derby molto sentito. Anche il sindaco Occhiuto, a caldo, non è stato tenero. Perché le ambizioni modificano le prospettive, specie se vinci un derby. Ma siccome Occhiuto oltre che essere un bravo architetto è anche un politico, per cui sono bastate poche ore per rimettere le cose a posto: un incontro istituzionale con Guarascio ed ecco che l'asticella delle ambizioni torna a spiccare il volo. Per adesso i tifosi del Cosenza debbono accontentarsi della Serie B prima, subito dopo della Serie A e del nuovo stadio che, quando sarà completato, indirizzerà le ambizioni verso l'Europa e magari dalle nuove e confortevoli tribune del Gigi Marulla (mi scusi sindaco ma quel San Vito davanti al mito non riesco proprio a scriverlo, avverto un netto rifiuto anche da parte della tastiera) si alzerà il coro “portaci, portaci, portaci in Europa... o Guarascio portaci in Europa”. Peccato che siano in pochi a crederci ma, per fortuna, sognare non costa nulla anche se a furia di ologrammi si rischia di impantanarsi nel paese dei balocchi. Il destino del Cosenza, a oggi, rimane quello di galleggiare in Serie C (la salvezza, prima di tutto come ha detto Braglia qualche settimana addietro...).

Per puntare alla Serie B, l'ultima cosa a cui si deve fare ricorso sono gli slogan. Peggio ancora se impregnati di politichese. E non è nemmeno una questione di soldi, perché per il campionato in corso è stato finanziato un budget decisamente superiore a quello della passata stagione. Serve un progetto, prima di tutto. Semplice, che sia realizzabile. Ma di quale progetto si vuole parlare con Guarascio se arrivati al settimo campionato sotto la sua gestione, con Stefano Trinchera si è arrivati a mettere sotto contratto il settimo direttore sportivo? Prima di lui, dietro la stessa scrivania ci sono stati Aladino Valoti, Massimo Cerri, Mauro Meluso, Gigi Condò, Ciccio Marino e addirittura Aristide Leonetti grazie alla “copertura” di Stefano Fiore. Ma di che parliamo? Poi si capisce il perché si arriva a costruire il peggiore Cosenza dell'era Guarascio, nonostante la spesa sostenuta sia la più alta di sempre. Quando si progetta, bisogna prima di tutto pensare alle basi che devono essere solide, capaci di garantire una struttura che sia vincente nei fatti e non a parole.


 

Puntare tutto sulle parole, significa creare illusioni. Proprio com'è accaduto la scorsa estate quando si è voluto esaltare una squadra che nella realtà non era stata costruita per rispettare le ambizioni del presidente e della tifoseria. Il primo ologramma è stata quella presentazione in piazza, dove si è dato più peso all'apparire che al contenuto. Non basta un bell'abito per essere affascinante, bisogna anche saperlo indossare. Se il Cosenza avesse avuto un progetto solido, chiaro di certo avrebbe messo nelle condizioni Gaetano Fontana di poter esprimere il suo calcio. Perché i risultati non sono stati dalla sua parte (la miseria di 2 punti in 5 partite) ma la squadra giocava. Aveva una idea di gioco. Chissà cosa sarebbe successo se il direttore sportivo gli avesse cucito addosso l'abito su misura. La verità è che la squadra è scarsa. La squadra non ha un briciolo di fuoco dentro, altrimenti non vai a giocare il derby del Ceravolo come fosse una partitella del giovedì alla Popilbianco. E non basta Braglia, al quale magari l'abito sta anche meglio (13 punti in 9 partite, media che significa salvezza con fatica...) ma non è quello giusto.

 

Nei giorni scorsi avrei voluto telefonare Roselli, per dirgli che mi sono ricreduto. A volte fare un passo indietro è molto più complicato che farne dieci in avanti. Ma ho deciso che fosse meglio che le mie scuse arrivassero pubblicamente, così come le critiche che non gli ho mai risparmiato: resto dell'idea che il suo calcio è antico, ma debbo prendere atto che per il dna del Cosenza di Guarascio rimane il migliore allenatore in assoluto. E non soltanto per i numeri (127 punti in 82 partite), per la vittoria della Coppa Italia di Serie C e il successo nel derby di Catanzaro dopo quasi 60 anni. Soltanto lui è riuscito a ottenere il massimo da calciatori che farebbero difficoltà a giocare anche nell'ex Serie C2. Certo, la sua seconda stagione poteva anche portare alla Serie B perché tre attaccanti come La Mantia, Arrighini e Calderini non li aveva nessuno. Ma il suo pragmatismo oggi sarebbe la medicina migliore per questo Cosenza. Il Cosenza di Guarascio.

Giornalista
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