La ciminiera di Saline Joniche simbolo del sogno industriale fallito: ora come a Rossano si attende la demolizione
Nella città della Sibaritide lo smantellamento della "colonna" Enel appare come un segnale di rinascita, nel Reggino invece il cemento continua a deturpare un'area di straordinaria bellezza riconosciuta anche come Sito di interesse comunitario
Mentre a Rossano, nel cuore della Sibaritide, sono iniziati i lavori di demolizione delle ciminiere della centrale Enel, simboli di un progetto industriale mai veramente decollato, nella nostra regione ci sono altri ecomostri, emblema di una Calabria a due velocità in un’Italia a due velocità. L’Area Grecanica infatti ospita un'altra ciminiera di cemento che continua a deturpare il paesaggio. È la ciminiera della Ex Liquichimica Biosintesi, che svetta alta 174 metri a Saline Joniche, frazione costiera di Montebello. Un monumento all'incuria ed al fallimento di un progetto di industrializzazione di Stato che non solo ha devastato il territorio, ma ha anche esposto la popolazione locale a gravi rischi ambientali, segnandone profondamente la storia recente.
L’emblema | Iniziata la demolizione delle ciminiere della centrale Enel di Rossano, ultimo simbolo dell’industrializzazione della Sibaritide mai realizzata
Un fallimento annunciato
Qui lo Stato ha provato ad esserci, ma ha fallito la sua missione. Tragicamente, tra l’altro: perché non è stato capace di dare una nuova, forte ed imperturbabile risposta ai cittadini. Proprio in una terra dove lo Stato dovrebbe farsi sentire sempre più forte, vivo, presente. In una terra che ha bisogno dello Stato e delle sue istituzioni più che mai. L’impianto della Liquichimica venne inaugurato negli anni ‘70 nell’ambito del cosiddetto "Pacchetto Colombo", una serie di interventi statali volti a industrializzare il Mezzogiorno e a ridurre il divario economico con il Nord Italia, di cui una fetta importante avrebbe dovuto beneficiare proprio la provincia reggina. La fabbrica, costata circa 300 miliardi di lire, avrebbe dovuto produrre mangimi proteici per l'allevamento animale, derivati dal petrolio. Tuttavia, ben presto si scoprì che tali mangimi erano cancerogeni, rappresentando un pericolo per la salute pubblica. L’impianto fu quindi bloccato ancor prima di entrare a pieno regime, lasciando dietro di sé non solo una cattedrale nel deserto, ma anche decine di lavoratori assunti in cassa integrazione.
Molti di questi operai non lavorarono mai realmente: dopo l’assunzione, finirono subito in cassa integrazione, alcuni per decenni, fino a raggiungere la pensione senza aver svolto attività. Questa gestione del personale rappresenta uno dei tanti esempi del fallimento delle politiche industriali italiane nel Mezzogiorno, che non solo non portarono sviluppo, ma gravarono pesantemente sulle casse dello Stato.
Un’area protetta deturpata
Questa struttura industriale si trova in una zona di straordinaria bellezza naturale e storica, affiancata dai laghetti del Pantano, un’area umida dichiarata Oasi WWF. Questa zona, da cui si possono percepire i fasti delle antiche saline romane, racconta una storia millenaria di sfruttamento intelligente del territorio. Oltre al valore storico, ormai quasi completamente perduto, l'oasi rappresenta un ecosistema fondamentale per oltre 170 specie di uccelli, tra cui fenicotteri rosa e aironi, ed è riconosciuta come Sito di Interesse Comunitario (SIC).
Nonostante queste ricchezze naturali, l'imponente ciminiera della Liquichimica continua a svettare nel paesaggio, ricordando a tutti il fallimento del sogno industriale. Un contrasto stridente tra il passato florido e il disastro ambientale lasciato dall'industrializzazione incompiuta. È paradossale che accanto a un sito di tale valore naturalistico sorga un simbolo di degrado.
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