L’intervista

Sesso, Dio e rock’n’roll nella vita spericolata di Barry Taylor ex manager degli ACDC a Cosenza per il suo libro

VIDEO | Durante gli anni ’80 ha viaggiato per il mondo con la band heavy metal più celebre del panorama internazionale. Poi la conversione e un altro percorso. Ecco cosa ci ha detto

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di Alessia Principe
9 febbraio 2024
11:00

Le sue tante vite, ce le racconta a cavallo di una Harley Davidson parcheggiata in un atelier in una via laterale del centro. Siamo a Cosenza, ma il legame con la Calabria comincia a Los Angeles, in un caffè. È il 2015 quando la couturier bruzia Eleonora Perugini, entra in un bar su un paio di rollerblade e incrocia lo sguardo di Barry Taylor. Non sa chi sia, non glielo chiede nemmeno. Si è persa, cerca informazioni, tutto qui. I due s’intendono, si rivedono il giorno dopo, lui le offre una spalla, aiuto, supporto, insieme girano per la città degli angeli. È l’inizio di una lunga amicizia, un legame che gli anni hanno rafforzato, come un filo di seta: sottile, lucido e resistente.

Sabato Barry Taylor presenterà al Beat di Cosenza, alle ore 18, il suo libro “Sex, God and Rock’nRoll”, insieme al giornalista Camillo Giuliani e alla ricercatrice Claudia Lanza, un volume che racchiude una vita cominciata come road manager di band storiche come gli AC/DC quando erano gli anni d’oro del rock mondiale.


Voglio una Vita spericolata ma...

Nato in Gran Bretagna e cresciuto a Cambridgeshire, Taylor ha lavorato al fianco di Bob Marley e Marvin Gaye, nomi che strappano un brivido solo a leggerli. Ma sulla strada del rock, Barry ha visto la luce, come direbbe il reverendo Cleophus James dei Blues Brother. Per lui il tour Highway to Hell, della mitologica band australiana capitanata da Brian Johnson, si è trasformato in una Highway to Heaven, un’autostrada per il Cielo e non per l’inferno.

È stato teologo, sacerdote, ha fondato “Sanctuary”, un luogo di culto alternativo a L.A. Quando la chiesa è stata chiusa, ha cambiato strada, ancora. È diventato docente di pubblicità e cultura del consumo alla School of Advertising dell’Art Center College of Design di Pasadena, California, e compone musica per colonne sonore di film. «Dio è il nome della coperta che gettiamo sul mistero per dargli forma», dice. «Prima viaggiavo con le band e adesso viaggio con Dio».

Mister Taylor, come dicono gli americani, lei è uno larger then life, che ci fa qui a Cosenza?
«Ho tanti amici che mi piace venire a trovare, è una delle città che preferisco al mondo».

Ci vivrebbe?
«Mi piacerebbe molto, c’è solo un piccolo problema che si chiama la Brexit. Non ci fosse lo farei, oppure magari ci vivrò lo stesso, chissà».

Lei ha vissuto molti anni a fianco di artisti che hanno scritto la musica mondiale, questo fino a quando ha incontrato Dio. Uno ha escluso l’altro?
«La musica è sempre stata una parte importante della mia vita, ma non l’unica. A volte penso che la musica e Dio siano molto simili nel generare emozioni, in fondo sono entrambi esperienze che trascendono il corpo. Io cerco solo di trovare il mio posto nel mondo e di essere una persona migliore, tutto qui».

Lei che credente è?
«Ci sono persone che credono in Dio e altri che non ci credono e altri ancora che non hanno una risposta. Io non sono nessuno di loro. Per me Dio è un’idea di ciò che non riusciamo a spiegarci come esseri umani».

Suona un po’ new age come concetto.
«Non direi, perché la new age cercava un Dio, io no. Per me è importante capire cosa significa essere umano nel nostro secolo. Sono certo che la vita sia più di carne e sangue, e che quando le persone parlano di Dio, in realtà parlano di coscienza. L’idea che Dio sia qualcuno che sta in alto e ci controlla come marionette, non fa per me».

Com’era la vita con le rockstar? Ci racconti.
«Beh… è stato come essere parte di un circo. Ogni giorno si organizzavano party per chiunque, era una vita selvaggia, ma anche dura. La gente vede gli artisti sul palco e pensa che è facile fare tutto quello che fanno, ma non basta salire sul palco e suonare. C'è tanto lavoro dietro».

Le manca qualcosa di quel periodo?
«Direi di no. Non sono una persona nostalgica, mi piace guardare avanti, non alle mie spalle. È stata una grande esperienza, questo sì, ma ho sempre pensato che fosse un momento transitorio della mia vita, non ho mai creduto che durasse per sempre. La vita è breve e ci sono tante cose da scoprire. Mi ha sempre interessato la filosofia, ad esempio».

La musica smuove le folle da sempre perché parla una sola lingua.
«La musica è importante per le persone: quando si hanno momenti speciali nella vita, c’è sempre una canzone di mezzo. La musica è come una Chiesa, ecco».

Insomma la religione è davvero un oppio per i popoli, come diceva Marx, e forse anche la musica.
«Io credo che sia una frase spesso fraintesa. Marx criticava la religione ma poi è arrivato alla conclusione che questa avesse una funzione importante, perché era un rimedio per le persone che soffrivano. Lui diceva che si poteva fare di meglio, che la religione mirava solo al mantenimento dello status quo, che era parte dello Stato e dava man forte alle autorità. Per lui il Comunismo era un modo per indirizzare il dolore delle persone verso la libertà e quando fece l’esempio dell’oppio lo fece perché era una droga a buon mercato, l’unica che si poteva permettere chiunque, anche il popolino».

 

Giornalista
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