La decisione

Roma intitola una strada a Peppe Valarioti, il dirigente del Pci che venne ucciso perché sfidò la ’ndrangheta

Su impulso dell'associazione da Sud è stata approvata all'unanimità la mozione presentata dai consiglieri dem Giammarco Palmieri e Nella Converti

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di Anna Foti
11 gennaio 2024
16:25
Peppe Valarioti
Peppe Valarioti

La storia di Peppe Valarioti risuona finalmente con forza anche oltre i confini calabresi. Il Campidoglio ha approvato all’unanimità una mozione che impegna l’Amministrazione capitolina a intitolare una piazza, una strada o un parco alla memoria del giovane e integerrimo dirigente del Partito Comunista Italiano di Rosarno e appassionato intellettuale, ucciso dalla ‘ndrangheta a Nicotera. Aveva soltanto trent’anni.

Con i compagni era andato a festeggiare la vittoria elettorale del partito a Rosarno. Era la notte tra il 10 e l’11 giugno del 1980. Sono trascorsi quasi quarantaquattro anni e quel delitto resta ancora impunito, senza verità. La vicenda giudiziaria seguita al primo delitto politico-mafioso calabrese è stata scandita da omissioni, assoluzioni per insufficienza di prove e archiviazioni.


Le rivelazioni del pentito Pino Scriva hanno indicato un ruolo determinante delle cosche di ‘ndrangheta locali dei Piromalli, Pesce, Pisani come mandanti dell’omicidio. Nel marzo 2011 un apposito comitato ha chiesto la riapertura delle indagini. Ma ad oggi, ancora nessuna verità accertata in giudizio.

Peppe Valarioti

Classe 1950, diplomato al liceo classico Nicola Pizi di Palmi, laureato in Lettere Classiche all’università di Messina, Giuseppe Valarioti era professore di Lettere al liceo scientifico Raffaele Piria di Rosarno. Appassionato di studi archeologici dell’antica Medma, aveva uno spirito indomito, un intelletto vivace e un’autentica fede comunista. Era segretario di sezione e consigliere comunale di Rosarno. Denunciava incessantemente le ingiustizie sociali generate dalle angherie della ndrangheta e da un sistema di compiacenze e connivenze.

«Nei suoi comizi grida ai concittadini di non piegarsi allo strapotere della ‘ndrangheta e a quello dei comitati di affari che in quegli anni dettano legge in Calabria. Intuisce che solo il lavoro onesto e la consapevolezza dei diritti delle donne e degli uomini della sua terra possono fare da argine allo strapotere dei clan. Diventa così protagonista delle lotte per il lavoro nella Piana di Gioia Tauro costruendo in quegli anni le Leghe dei giovani disoccupati; è tra coloro che analizzano con grande lungimiranza la capacità pervasiva della ‘ndrangheta nell’economia e nella politica così come avverrà negli anni a venire».
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Giornalista
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