La mediazione è una procedura alternativa alla giustizia ordinaria finalizzata a risolvere controversie civili e commerciali con l'accompagnamento di un mediatore imparziale, che aiuta le parti a raggiungere un accordo volontario. È, dunque, uno strumento deflattivo dei giudizi in tribunale essenziale, specie in un sistema giustizia come quello italiano gravato da numerosi carichi pendenti. Ma è davvero solo questo? Articola una risposta (negativa) ampia e approfondita, specificando che la mediazione è anche e soprattutto un incontro, una contaminazione tra storie e vissuti che necessitano di arrivare a sintesi per attraversare e risolvere il conflitto, Francesca Chirico, mediatrice Ismed e coordinatrice dell'AdrMedLab, istituito all'interno del dipartimento di Giurisprudenza Economia, e Scienze umane dell'università Mediterranea di Reggio Calabria. Lei è l'ospite, negli studi del Reggino.it della nuova puntata de L'Intervista.

«Insieme a tanti altri colleghi, responsabili di altri organismi attivi sul territorio, ci occupiamo ogni giorno dei conflitti quotidiani praticando la mediazione civile e commerciale. La mediazione è svolta da un terzo e imparziale ed è finalizzata al raggiungimento di un accordo che il diritto cristallizza garantendo che non sia contrario a norme imperative e che non si lesivo, assicurando la sua attuazione. La mediazione non è l'accordo ma è l'accordo ad essere il frutto della mediazione perchè unitamente alle competenze giuridiche servono anche tante capacità metagiuridiche. Le parti che arrivano al tavolo portano ognuna con sé un proprio diritto e una propria storia dello stesso conflitto. Ci sono almeno due storie del conflitto, una parte che chiama una parte che interviene».

La mediazione tra persone e le loro storie di conflitto

«Nessuna storia è giusta e nessuna è sbagliata, dunque - spiega ancora Francesca Chirico - e ogni storia è frutto della propria sensibilità, del proprio modo di vedere il mondo, di concepire la vita. Ciascuna persona, come anche ciascuno Stato, ha le proprie ragioni che sottendono il conflitto delle quali più è lungo il conflitto più ci si convince. Allora, cosa fa il mediatore? Favorisce il processo nel quale queste storie di conflitto si incontrano, nel quale si possano riconoscere riconoscendo che l'altro esiste e che con la sua storia io devo fare i conti, in qualche modo devo sintetizzarla dentro la mia.

In questi anni l'Ismed ha avuto l'opportunità grazie alla professoressa Angela Busacca, il professore Attilio Gorassini e del professore Daniele Cananzi di istituire all'interno del Digies, l'AdrMedLab uno spazio di ricerca e promozione della Mediazione e delle forme di risoluzione alternativa dei conflitti.

Ci siamo formati con i negoziatori di Harvard e abbiamo imparato che non si negozia mai sui principi, sui blocchi ma sempre sugli interessi e questo consente che il conflitto si depolarizzi. Personalmente la mia scuola è quella di Friedman, dunque quella della mediazione quale metodo da attuarsi attraverso la comprensione. C'è poi anche il metodo Rondine in base al quale la mediazione trasforma il conflitto e anche laddove non si trovi d'accordo sia comunque occasione generativa di nuove visioni capaci di migliorare le persone coinvolte».

La mediazione tra paesi e i negoziati di pace

La mediazione non è soltanto tra persone ma anche tra paesi, ed estendendo con sensibilità e competenza la riflessione al momento storico contingente, Francesca Chirico apre un focus su Gaza e sull'Ucraina.

In particolare, in occasione della recente settimana della Mediazione, organizzata a Reggio Calabria da Ismed, università Mediterranea, Comune, Città Metropolitana e ordine degli Avvocati di Reggio Calabria, Spazio Open ed Ecolandia, il tema della mediazione è stato declinato anche in ambito internazionale aprendo una finestra su Gaza.

«Silvana Arbia, ex procuratrice presso il Tribunale Onu del Ruanda e già cancelliera della Corte penale internazionale ci ha spiegato che il conflitto non è un'opinione ma è un fatto anzi, nel caso della Palestina, una serie di fatti perpetrati nel tempo che non hanno mai avuto una censura e che quindi hanno portato allo scontro. C'è il diritto dei palestinesi e c'è il diritto degli israeliani. La narrazione più diffusa, ma anche distorta, di questo conflitto ci ha raccontato questo scontro come fosse frutto di religioni opposte proprio perché l'ideologia si è impossessata dell'uno e dell'altra parte.

Conosco quei territori. Io ho studiato e vissuto lì e ho amici che tutt'ora vivono lì. Vivono in pace, insieme, arabi musulmani e arabi cattolici. Il maestro è cattolico, il dottore è musulmano. Nessuno dice mai - sottolinea Francesca Chirico - che la chiave del Santo sepolcro è detenuta da una famiglia musulmana da sempre e che il sindaco di Betlemme è un cattolico per statuto. Anche tra ebrei e israeliani esiste non una coesistenza, c'è il riconoscimento l'uno dell'altro.

Non è vero che non può esserci pace. Ma esiste una politica che arriva dall'alto e decide che per altri interessi non può esserci la pace, ma ci sono persone che invece la vivono e la sperimentano».

Due popoli che vivono dal fiume al mare

«Noi sappiamo che questo conflitto è molto divisivo e anche molto politicizzato anche nelle piazze. Il movimento spontaneo di cittadini ha rischiato di avere una etichetta. Noi vogliamo raccontare che questo tema non ha alcuna etichetta politica ma riguarda la vita di due popoli che vivono dal fiume al mare, con lo stesso riconoscimento giuridico che in questo momento per gli arabi palestinesi non c'è.

Noi riteniamo che il negoziato sia l'unica soluzione per risolvere i conflitti e che il piano Trump non sia un piano di pace duratura, ma è una tregua, per la quale tutti abbiamo gioito ma che non ci permette di abbassare la soglia di attenzione.

Anche per questa ragione - annuncia Francesca Chirico - le aggregazioni ecclesiali delle quali faccio parte hanno subito accolto l'invito del Csi per promuovere una iniziativa internazionale che porterà a Reggio Calabria per una settimana di sport, solidarietà incontro e scambio di esperienze bambini palestinesi dal campo profughi del Libano.

Ne approfitto per lanciare un appello a sostenere questa iniziativa di solidarietà concreta e che porterà sul nostro territorio la voce autentica di questa storia».

La vita che resiste nelle foto di Fadi Tabhet

Prima nel forte del parco Ecolandia e poi nella galleria di Palazzo San Giorgio è stata proposta alla cittadinanza una riflessione sul conflitto a Gaza guidata anche dalle immagini del fotografo palestinese Fadi A. Tabhet.

A Reggio Calabria,in occasione della Settimana della Mediazione, si è tenuto un focus su Gaza e una mostra del fotografo palestinese Fadi Tabhet

«Fadi racconta un'umanità che resiste, che rinasce dalle macerie, che anela alla pace. La sua è una poetica del quotidiano che resiste, nonostante la guerra. Il suo non è uno sguardo di denuncia polemica e violenta. È la lente di chi vive dentro il conflitto, ne conosce le cause e lo attraversa con l'occhio delicato e rispettoso che non fa mai pietismo e mai entra mai a gamba tesa nella storia di dolore delle persone. Un approccio di grande sensibilità che è anche quello che deve avere il mediatore», conclude Francesca Chirico, mediatrice Ismed e coordinatrice dell'AdrMedLab, istituito all'interno del dipartimento di Giurisprudenza Economia, e Scienze umane dell'università Mediterranea di Reggio Calabria.