Mentre si attende la distribuzione delle deleghe nella nuova giunta, cresce un sentimento profondo di stanchezza. I cittadini sono delusi da promesse mancate e da una politica che non riesce a tradurre le parole in fatti. Questa, forse, è l’ultima occasione per trasformare la speranza in cambiamento concreto
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In queste ore si attende di conoscere la spartizione delle deleghe della nuova giunta regionale. È un passaggio cruciale, ed è giusto che sia così: la politica si incarna nei ruoli, nei nomi, nelle responsabilità concrete, e capire chi guiderà i settori chiave – dalla sanità allo sviluppo territoriale, dal lavoro al turismo – non è un dettaglio, ma la sostanza, la concretezza.
 Tuttavia, c’è un sentimento che attraversa la regione come un fiume carsico e che non possiamo più fingere di non sentire: stanchezza. Una stanchezza profonda, antica e insieme attualissima. I calabresi sono stanchi. La Calabria è stanca.
 Tutto questo lo abbiamo visto con un'astenzionismo altissimo alle ultime elezioni. E se non si farà nulla di concreto, l'astensionismo aumenterà sempre più.
I calabresi sono stanchi.
 Lo sono perché troppe volte hanno atteso svolte mai compiute; lo sono perché l’annuncio di una “nuova fase” è ormai moneta consumata, e ogni promessa mancata pesa come un macigno sulla fiducia collettiva. Eppure, nonostante tutto, c'è ancora un filo di speranza. Questa sembra davvero l’ultima occasione per cambiare qualcosa in concreto. Non nei proclami, ma nelle vite quotidiane. Non nell’immagine esterna, ma nella realtà interna.
I calabresi non chiedono miracoli, chiedono risposte.
Sanità
 La sanità calabrese è la ferita più evidente. Territori scoperti, ospedali depotenziati, liste d'attesa interminabili, fuga dei medici e dei pazienti. È il simbolo massimo del fallimento istituzionale. Servono investimenti, sì, ma soprattutto serve una governance che sappia programmare, controllare e misurare. Serve una rivoluzione digitale per la gestione delle prenotazioni e una rete territoriale di medicina di prossimità, perché in troppe aree interne si muore per distanza, prima che per malattia. Serve attrarre professionisti con incentivi veri, mentre si forma una nuova generazione di medici calabresi da trattenere, non da perdere.
Spopolamento e fuga dei giovani
Lo spopolamento è la malattia silenziosa. Le statistiche non sono opinioni: secondo Svimez, la Calabria rischia di trasformarsi in una terra di soli anziani, e quando gli anziani non ci saranno più, la Calabria è destinata all'estinzione numerica. Ma dietro i numeri ci sono valigie, case vuote, paesi che si spengono. I giovani non partono per capriccio; partono perché qui spesso il talento è un peso, non un valore. Partono perché chiedono opportunità, non favori.
Invertire la rotta significa creare economia reale: incubatori culturali e digitali, poli universitari integrati col territorio e con il mondo produttivo, incentivi al ritorno per chi ha studiato fuori, sostegno all'imprenditoria giovanile non come elemosina, ma come investimento strategico. Bisogna trasformare la Calabria in una terra dove sia possibile tornare senza sentirsi falliti.
La mentalità che non funziona
 Poi c’è la questione più complessa: la mentalità. Non quella dei calabresi – che sono capaci, creativi, tenaci – ma quella sedimentata dall’abitudine al poco, dalla sfiducia strutturale, dal clientelismo che ha sostituito il merito, dalla rassegnazione elevata a forma di saggezza. Questa mentalità non è un destino, ma una conseguenza della storia e delle mancanze della politica. E va scalfita con una nuova educazione civica: trasparenza amministrativa, partecipazione pubblica, cultura del bene comune, esempi concreti dall’alto. Perché il cambiamento nasce dal potere, ma vive solo se il popolo lo sente come proprio.
Turismo e ricchezza tradita
 La Calabria, terra di mare e di montagne, di parchi e di borghi, di arte e di archeologia, dovrebbe vivere di turismo dodici mesi l’anno. Invece, siamo arrivati persino a contare flussi scarsi in pieno agosto, e questo dice tutto. Non basta il mare; serve un turismo di qualità, organizzato, internazionale. Servono infrastrutture degne, marketing moderno, collegamenti veri, formazione nel settore dell’accoglienza, servizi efficienti nei luoghi turistici, tutela del paesaggio, cura delle coste e dei borghi, festival culturali che non siano fuochi di paglia ma strutture permanenti. La Calabria deve smettere di aspettare il turista: deve costruire il desiderio del turista.
 Tutto questo non è utopia. È ciò che qualsiasi regione moderna fa per sopravvivere. E noi non vogliamo sopravvivere: vogliamo vivere. La Calabria non è una regione “difficile”: è una regione potenziale, una fucina di possibilità che per decenni sono rimaste sulla soglia.
Oggi lo ripetiamo con fermezza: basta attese, basta retorica. Abbiamo il dovere – non solo il diritto – di pretendere una Calabria diversa. È l’ultima occasione per una politica che voglia davvero essere storia, e non nota a margine. Se non ora, quando?
E soprattutto: se non noi, chi?

