Don Giuseppe Mancuso, trentacinque anni, originario di Commenda di Rende, è una figura che si staglia con singolare nettezza nel panorama ecclesiale calabrese contemporaneo. Cresciuto nella parrocchia di Sant’Antonio, retta dai frati minori francescani, ha respirato fin dall’infanzia un cristianesimo intriso di semplicità evangelica e rigore spirituale. Dopo gli studi liceali, è stato come se una voce interiore lo conducesse verso una direzione irrevocabile. A soli diciotto anni decide di varcare la soglia del Seminario. Lì matura una vocazione già forte, e la affina attraverso un percorso di studio che lo porterà a conseguire il titolo in Teologia Morale Sociale con indirizzo Bioetico, un campo oggi più che mai necessario, dove la riflessione teologica incontra le sfide drammatiche e complesse del mondo contemporaneo.

È sacerdote da un decennio, e in questi dieci anni ha intrecciato il proprio ministero con la vita concreta di due comunità antiche e appartate dell’entroterra cosentino: le parrocchie dei Santi Pietro e Paolo in Pedivigliano e di Santa Maria Assunta in Scigliano. Chiunque lo incontri coglie immediatamente in lui una naturale inclinazione all’ascolto, un’intelligenza teologica non esibita ma solida, e soprattutto un sincero desiderio di farsi ponte, dialogo, prossimità.

In un tempo in cui la Chiesa sembra attraversare una delle sue fasi più delicate, secondo alcuni, è prossima a un vero collasso istituzionale e spirituale, aumentano gli interrogativi che i fedeli, i dubbiosi, e persino i lontani, rivolgono al clero. Il sentimento comune è spesso un misto di smarrimento e attesa.

Don Giuseppe, con la sua giovane età e la preparazione robusta che lo contraddistingue, appare come uno di quei baluardi ecclesiastici capaci di raccogliere le domande senza paura, anzi trasformandole in un’occasione di discernimento e rinnovamento. E così l’abbiamo raggiunto per una piacevole chiacchierata, animata da franchezza, profondità e un senso di intesa umana prima ancora che intellettuale.


Lei è un giovanissimo prete. Uno di quelli che si impegna giorno e notte per le proprie comunità ecclesiastiche di appartenenza. Ma lei, in prima persona, come vive la fede?

La fede è come una pianta che ha bisogno di cura quotidiana. Il primo impegno sta dunque nel curare il rapporto personale col Signore che viene scandito giornalmente dalla Liturgia delle Ore con la quale attraverso la recita dei Salmi in maniera metodica si coprono i vari momenti della giornata. Di particolare aiuto trovo la compieta che alla fine della giornata fa fare un esame di coscienza per capire se nel corso delle 24h, si è riusciti almeno in minima parte a mettere in pratica il Vangelo, nonostante le proprie fragilità. Altro mezzo efficace per la cura dell'anima è la recita del Rosario, soprattutto quello in dialetto che rispecchia una mia particolare attenzione verso un mondo tradizionale che mi affascina e coinvolge.


Lei incontra ragazzi che dicono di non credere, ma che allo stesso tempo vivono con una fame di senso evidente. Non è che la Chiesa, più che perderli, non riesce più a riconoscerli?
Il compito primario che Cristo ha affidato ai suoi Apostoli è quello di annunciare il Vangelo, la buona notizia, cioè dire a tutti che "Dio ti ama così come sei". Ragion per cui da parte della Chiesa c'è da sempre una grande attenzione al mondo giovanile che essendo la speranza delle nostre comunità, sarà chiamato a portare alle generazioni successive questo messaggio di salvezza. La Chiesa propone uno stile di vita alto, perché alto è il messaggio di Cristo. Compito primario sarà quello di riconoscere che la sfida oggi col mondo giovanile è ardua ma non impossibile. Si perde dunque solo chi non ama osare ma si accontenta di volare basso. La chiesa riconosce la difficoltà delle fasce giovanili di oggi, ma non per questo svende i valori del Vangelo che sono eterni.


Quando parla ai giovani, le capita mai di sentirsi un ambasciatore di un linguaggio ormai morto? E come fa a non diventare un traduttore stanco di tradurre?
Quando Gesù capisce che i discepoli non riescono a sopportare e a capire quello che Lui dice, gli domanda: "volete andarvene anche voi?". San Pietro risponde: " Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!". Il linguaggio evangelico dunque non è morto ma anzi è il solo che da 2000 anni è vivo e da risposta ad ogni uomo di ogni tempo. Ne consegue che non essendo portatore di parole mie, ma delle parole vive di Gesù, io stesso non mi stanco mai di sorprendermi di quanto esse dicano a me stesso.


Molti ragazzi credono “a modo loro”, in modo privato e senza etichettarsi come cattolici o altro. Perché dovrebbero tornare a una struttura istituzionale se non sentono più che quella struttura parli di loro?
Nessuno dovrebbe sentirsi estraneo a casa propria. Vivere la chiesa non vuol dire risiedere in un ufficio dove ognuno ha compiti e ruoli ben precisi, bensì stare nella grande famiglia in cui ognuno avendo ben chiara quale sia la sua funzione, si riconosca prima cosa di tutto figlio di Dio e poi fratello di Gesù Cristo. Credo che ognuno abbia il desiderio dopo aver girato il mondo e fatto chissà quali grandi esperienze, di ritornare finalmente a casa propria per ristorarsi dalle fatiche e riprendere con nuovo vigore il suo cammino



Da prete giovane, quante volte ha avuto la tentazione di non ‘palesarsi’ lei stesso? Di dire: ‘oggi no, oggi non ho la forza di essere il prete della situazione’?
Il prete non è un mestiere ma una vocazione. Prete lo si è, non lo si fa. Ragion per cui, non c'è un orario in cui si stacca o si smette di essere tale, ma una volta ordinato sacerdote lo si è: per Dio, per tutti, per sempre.


Crede che la crisi della fede sia davvero una crisi della fede, o piuttosto una crisi dell’immagine di Dio che la Chiesa continua a proporre? Un Dio che molti giovani percepiscono come poco credibile?

Che la Chiesa sbagli credo sia sotto gli occhi di tutti, perché è formata da uomini e donne peccatori che troviamo anche in tutti i settori del vivere civile. Tuttavia non è fondata sulla bravura degli uomini ma sulla santità di Dio e per tale motivo, anche se gli uomini sono poco credibili, Dio rimane sempre degno di fede.


Se potesse dire ai giovani una sola verità nuda e cruda, senza catechismi né formalismi, una verità che lei stesso ha scoperto a fatica, quale sarebbe?

La verità più bella che ho scoperto a fatica nella mia vita è che Dio rimane Padre, nonostante le mie fragilità, Lui mi viene sempre a riprendere nel punto dove sono caduto.


Come immagina la chiesa del domani? Esisterà ancora una fede?

"Quando Gesù tornerà sulla terra troverà ancora la fede?" Questa è anche una domanda che troviamo nei Vangeli e questo mi genera perplessità ma anche fiducia, perché la Chiesa è di Cristo è sa Lui dove deve essere condotta e per quali mari deve solcare. A me il compito di essere un traghettatore di anime che non porta a sé stesso ma a Dio.