In una fredda notte d’autunno del 15 ottobre 2020, a soli cinquantuno anni, si spense Jole Santelli, allora governatrice della Regione Calabria. La sua scomparsa, improvvisa e silenziosa, fu come una luce che si spense nel mezzo del cammino, lasciando dietro di sé un vuoto colmo di memoria, di riconoscenza e di dolce malinconia. A distanza di anni, la Calabria non l’ha dimenticata: il suo nome risuona ancora nei borghi di pietra, tra i monti e le marine, come un’eco di forza e di coraggio, come il segno di un’anima che ha amato profondamente la propria terra.

Jole Santelli fu una donna autentica, incapace di fingere. Il suo sorriso, spesso fragile ma sempre sincero, aveva qualcosa della luce che descriveva Albert Camus, quella che non illumina per vanità, ma per “testimoniare che anche nell’ombra esiste ancora un chiarore umano”. Era una donna che aveva conosciuto la durezza della vita, e che proprio per questo aveva imparato la dolcezza della comprensione. Dietro la fermezza del ruolo pubblico, dietro la retorica della politica, c’era un cuore schietto, una sensibilità viva, un desiderio di giustizia e di dignità per la sua gente.

Platone scriveva che “governare significa servire la verità”. Jole, nel suo cammino politico e umano, servì quella verità che nasce dall’amore per la propria terra: non la verità astratta delle ideologie, ma quella concreta delle mani che lavorano, dei volti che soffrono, delle voci che non si sentono. La Calabria, nella sua visione, non era un luogo da amministrare, ma un’anima da ascoltare – un corpo ferito, da accarezzare con cura.

C’era in lei un senso quasi tragico dell’esistenza, un’adesione piena alla vita pur sapendola fragile. Come scriveva Cesare Pavese, “vivere è cominciare sempre, anche morendo”. Così fece Jole Santelli: fino all’ultimo, anche nel dolore, scelse la vita, la dedizione, il sorriso. Le sue ultime apparizioni pubbliche, segnate dalla malattia, non furono atti di ostentazione, ma di dignità – la testimonianza che la forza non consiste nel nascondere la debolezza, ma nel camminare con essa, a testa alta.

Oggi il ricordo di Jole Santelli appartiene alla memoria profonda della Calabria, quella che non si scrive nei libri ma si tramanda nei racconti, nei gesti, negli sguardi riconoscenti della sua gente. È la memoria delle donne e degli uomini che sanno che l’amore per la propria terra è una forma di preghiera laica, una fedeltà assoluta, come quella che lei incarnò.

In lei la Calabria ha riconosciuto una figlia vera – imperfetta, appassionata, luminosa. E nel suo ricordo continua a trovare la forza di credere che anche da questa terra, troppo spesso ferita, può nascere ancora una speranza. Come scriveva Rainer Maria Rilke, “la vera patria dell’uomo è l’infanzia”, e per Jole quell’infanzia aveva il profumo della sua Calabria: ruvida, antica, ma capace di infinita tenerezza.

Così, ancora oggi, nelle sere d’autunno, anche a distanza di ormai 5 anni, quando il vento scende dalle montagne e le luci tremano sui paesi, sembra di sentire la voce gentile di Jole Santelli, che continua a dire, a chi sa ascoltare, che la bellezza della vita non sta nel potere, ma nell’amore con cui si serve il proprio destino.