VIDEO | Una giornata di sport, arte, musica e riflessione. Inaugurato allo stadio San Vito-Marulla il graffito, appena restaurato, dedicato al tifoso rossoblù Andrea Ominelli scomparso trent’anni fa
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Uno accanto all’altro, ai piedi del ring montato nello spazio esterno della Palestra Popolare di Cosenza, le spalle contro le corde. Claudio è seduto nel mezzo, tiene il microfono, lo passa agli altri. Claudio è Claudio Dionesalvi, docente e giornalista, ma qui non ci sono cognomi né titoli sui segnaposto. Non ci sono neanche i posti, a dirla tutta, se non quel ring alle spalle. E non c’è neppure un dibattito perché, è lui stesso a dirlo, «non è il caso».
C’è un gruppo di amici che si è riunito per ricordare uno di loro che non c’è più, Andrea Ominelli, morto trent’anni fa. Un tifoso dei Lupi al quale subito dopo la scomparsa era stato dedicato un graffito su una parete del San Vito-Marulla. Il primo graffito in Italia realizzato all’interno di uno stadio. Qualche ora prima lo hanno inaugurato per la seconda volta, dopo il restauro che ha riacceso i colori sbiaditi dal tempo.
Poi è stato il momento della boxe. Sul quadrato sono saliti le atlete e gli atleti della Boxe Popolare assieme a quelli di altre palestre della Calabria e della Basilicata. Sudore, sangue anche. E urla. Infine, la calma.
Ed eccoli adesso, quegli amici riuniti sotto un cielo che si fa sempre più scuro mentre il sole saluta per sempre questo giorno. A vegliare su di loro un grande pino marittimo che poggia un fianco sul muro che delimita il cortile. «Dovrebbe avere intorno a cento anni – dice Claudio –. Questo albero era già qui molto prima che costruissero lo stadio. Sembra sfuggire alla legge di gravità e stare lì perché si aggrappa a quel muro di cemento. Credo che le nostre esistenze siano come la sua perché tutte e tutti noi ci siamo aggrappati a qualcosa, all’asfalto e al cemento».
Accanto a lui ci sono Vittoria, Amaele, Gianfranco, Giancarlo e Giuseppe. Corre l’obbligo di scriverli i loro cognomi, e poi mettere da parte pure questi. Vittoria Morrone, psicologa e attivista del collettivo La Base; Amaele Serino, fondatore della Street Art School e arbitro della Boxe Popolare; Gianfranco Tallarico, fondatore e tecnico della Boxe Popolare; Giancarlo Costabile, docente di Pedagogia dell’Antimafia all’Unical. Giuseppe Copani incarna il ricordo, è memoria viva per la grande amicizia che lo legava ad Andrea Ominelli. Sono loro, e gli altri che sotto al grande pino si sono fermati per ascoltarli, i “Figli della stessa rabbia” che danno il titolo all’iniziativa.
Ognuno, a suo modo, un combattente. Si parla di dipendenze, perché proprio una dipendenza si è portato via Andrea. Ma le dipendenze sono tante e varie. «Sostanze, devianze, veleni. Tutti noi combattiamo quotidianamente contro questi nemici», afferma Claudio. Il microfono passa di mano in mano.
«In questa città viviamo gli effetti di un mondo fatto sempre meno per gli esseri umani – esordisce Vittoria –. Un mondo che esclude e nel tritacarne finiscono soprattutto le persone che vivono nei quartieri degradati. Oggi il classismo è dilagante perché se è un manager ad assumere sostanze stupefacenti questo viene visto come performativo mentre se è un ragazzo dei quartieri popolari è uno scarto sociale».
«Non ci sono investimenti per offrire pari opportunità e pari accesso ai servizi – aggiunge –. Bisogna creare luoghi che diano ragioni per restare».
«L’hip hop è una cultura che mi ha insegnato tantissime cose – è la testimonianza di Amaele –. Sostenere queste arti nelle periferie porta molti vantaggi ai ragazzi. Io vado nelle scuole a insegnare i graffiti. Cerco di trasmettere la passione perché è la passione che ci muove».
Hip hop, street art, boxe. Le arti che stasera si sono riunite e che giorno per giorno sono in campo contro devianze e disagio sociale.
Gianfranco lo sa bene. Di ragazzi ne vede passare tanti da qui. «Oggi il problema più grosso è che i ragazzi non riescono a costruirsi un’idea di loro stessi. Ai primi sgambetti barcollano. Quello che cerchiamo di fare è dare loro fiducia, lavorare sulla loro autostima. Iniziando con la conoscenza del proprio corpo. Li prepariamo non solo a salire sul ring. Lo sport è medicina. Ma servono anche sinergie con le famiglie e le istituzioni, a cominciare dalla scuola».
Anche Giancarlo viene qua ad allenarsi. «La Boxe Popolare è un contenitore di rabbia sociale diventato motore di cambiamento – dice –. Io qui ho potuto toccare con mano una frase profetica del sacerdote salentino don Tonino Bello: dobbiamo svegliare l’aurora. Tutti siamo portatori di rabbia nei contesti in cui lavoriamo e viviamo, questa è una società che costruisce rabbia per dividere. Chi non riesce a gestirla finisce dentro la prigione delle dipendenze e distrugge se stesso. Noi l’aurora la dobbiamo costruire e lo facciamo raccontando queste esperienze che si riprendono pezzi di territorio».
È Giuseppe a chiudere il giro degli interventi. Ricorda Andrea, «più che un amico, un fratello», e sottolinea l’importanza di luoghi che permettono di essere comunità. «Ultimamente ci sono pochi momenti per stare insieme, ma stasera Cosenza ha chiamato e Cosenza ha risposto. Tanti spazi di aggregazione sono venuti meno, e realtà come questa della Boxe Popolare sono indispensabili perché sono luoghi di confronto e condivisione, perché stando insieme ci si accorge se chi ci sta accanto non ce la fa».
Parte l’applauso. Mentre la sera è ormai arrivata. È il momento della break dance e della musica. C’è dj Lugi, di là, pronto a far esplodere la festa. Perché stare insieme è in fin dei conti proprio questo, una festa. E festa sia.