L’industria cinematografica italiana affronta una delle sue stagioni più buie. Solo pochi titoli — spesso d’animazione o grandi franchise internazionali — riescono a riportare il pubblico al cinema
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Con la chiusura del Festival di Cannes 2025, il riflettore si spegne sull’eleganza dei red carpet e si accende sulla dura realtà delle sale vuote e dei set fermi. Il cinema italiano, un tempo faro della cultura europea, oggi vive una delle sue crisi più profonde e sistemiche.
La riforma del tax credit voluta dal governo Meloni — che ha irrigidito i criteri di accesso ai fondi pubblici — ha di fatto paralizzato l’industria. La sospensione dei decreti attuativi da parte del TAR del Lazio ha lasciato centinaia di produzioni senza sostegno, creando un effetto domino che minaccia l’intero ecosistema creativo.
Il blocco non ha solo congelato progetti già in sviluppo, ma ha anche scoraggiato l’ingresso di nuovi investitori e reso quasi impossibile la pianificazione a lungo termine per le piccole e medie case di produzione, da sempre il cuore pulsante del cinema d’autore italiano.
Al problema del finanziamento si somma un declino strutturale della fruizione cinematografica. Le sale italiane, già in crisi prima della pandemia, hanno registrato nel 2024 un’ulteriore flessione del 20% di spettatori rispetto al 2019. Solo pochi titoli — spesso d’animazione o grandi franchise internazionali — riescono a riportare il pubblico al cinema.
Nel frattempo, le piattaforme di streaming hanno assunto un ruolo dominante, ma senza investire con continuità nel cinema italiano. Netflix, Prime Video e Disney+ prediligono prodotti seriali e format internazionali, lasciando poco spazio a opere originali italiane, spesso relegate a budget risicati e finestre di visibilità brevissime.
La crisi non riguarda solo produttori e registi, ma migliaia di lavoratori intermittenti del settore, tecnici, scenografi, costumisti, fonici, spesso senza tutele, coperture previdenziali o prospettive. Il rischio concreto è la fuga di talenti verso l’estero o verso altri settori.
Le scuole di cinema sfornano ogni anno centinaia di giovani professionisti che, una volta usciti, trovano un sistema chiuso, bloccato e privo di sbocchi. Il ricambio generazionale è ostacolato da una struttura ancora fortemente familistica e concentrata nelle mani di pochi.
Nel 2024, i film italiani hanno raccolto solo l’11% del box office nazionale. I titoli più visti sono stati Inside Out 2, Oceania 2, Deadpool & Wolverine, mentre l’unico film italiano a salvarsi è Il ragazzo dai pantaloni rosa di Margherita Ferri, con 9 milioni di euro. Seguono Parthenope di Sorrentino (7,5 milioni) e Un mondo a parte (7,3 milioni).
In questo scenario difficile, alcuni interpreti riescono ancora a distinguersi. Pierfrancesco Favino continua a essere un riferimento, così come Toni Servillo e Elio Germano. Emergono anche volti nuovi, come Linda Caridi e Francesco Di Leva, ma troppo spesso mancano progetti di qualità che possano valorizzarli appieno.
Il futuro del cinema italiano dipenderà da scelte coraggiose: una riforma strutturale del finanziamento, investimenti in formazione, apertura al merito e al ricambio generazionale, politiche che incentivino la frequentazione delle sale e non solo l’algoritmo delle piattaforme.
Senza un’azione decisa e condivisa, rischiamo di consegnare il cinema italiano — glorioso patrimonio del Novecento — all’archivio della nostalgia, tra una retrospettiva su Fellini e un restauro de La dolce vita.