Non sembri un eccesso: il voto digitale può davvero salvare la democrazia. In un tempo in cui la partecipazione alle urne è in caduta libera, non si può più fingere che tutto vada bene. La democrazia rappresentativa, così come la conosciamo, è in crisi non solo per la qualità del dibattito politico o per la sfiducia nei partiti, ma anche per la fatica, sempre più diffusa, di partecipare. Non bastano gli appelli morali al voto: serve rendere più facile, moderno e immediato l’esercizio di questo diritto. In questo, le tecnologie digitali non sono una minaccia, ma una risorsa.

Astensionismo: i numeri di una crisi

I dati parlano chiaro. Alle elezioni europee del 2024, in Italia ha votato appena il 49,7% degli aventi diritto. È il risultato peggiore di sempre per questa tornata. In alcune elezioni regionali e comunali si è scesi anche sotto il 40%. Il referendum del 2022 sulla giustizia ha raggiunto appena il 20,9% di affluenza: un fallimento sostanziale, indipendentemente dal merito delle proposte.

E il fenomeno non riguarda solo l’Italia. In Francia, alle ultime legislative, l’affluenza ha sfiorato a fatica il 47%. In Germania, sebbene i tassi restino più alti, il trend decrescente è evidente. Negli Stati Uniti, dove votare è notoriamente più macchinoso, si è passati dal 61,6% di partecipazione nel 2008 a meno del 54% nel 2022 (midterm). La democrazia si sta svuotando di partecipazione reale.

Il voto digitale: una possibilità concreta

Eppure una via esiste, ed è già sperimentata con successo. Il voto digitale – inteso come possibilità di esprimere il proprio voto da remoto, in modo sicuro e certificato – è già realtà in Estonia, dove oltre il 50% degli elettori ha votato online nelle elezioni parlamentari del 2023. Il sistema estone, basato su identificazione elettronica, crittografia e audit pubblici, non ha mai registrato seri problemi di sicurezza, diventando un modello internazionale.

Anche la Svizzera ha avviato sperimentazioni in diversi cantoni, con risultati incoraggianti. La Norvegia ha testato il voto online per le elezioni comunali. Negli Stati Uniti, alcune giurisdizioni utilizzano sistemi digitali per il voto degli elettori all’estero o dei militari. In India e Brasile, il voto elettronico è già la norma, seppure in modalità presenziale.

Tecnologia e sicurezza: le sfide superabili

Il primo timore sollevato quando si parla di voto online è la sicurezza: rischio di hackeraggio, manipolazione dei dati, perdita dell’anonimato. Ma questi rischi non sono superiori a quelli, ben noti, del voto cartaceo. Schede rubate, errori di trascrizione, verbali alterati: tutto questo accade già. Il voto digitale non è privo di rischi, ma li può rendere più tracciabili e meno manipolabili, se gestito con rigore.

Le tecnologie esistenti, crittografia a chiave pubblica, autenticazione forte (SPID, CIE), blockchain, protocolli “zero trust”, possono garantire sicurezza, anonimato e verificabilità. Anzi, possono introdurre nel sistema elettorale una trasparenza oggi impossibile: ogni votante potrebbe verificare che il proprio voto sia stato registrato e contato correttamente, senza che nessuno possa risalire alla sua scelta.

Un’opportunità per includere, non per escludere

Il voto digitale può estendere la partecipazione. Oggi milioni di cittadini sono di fatto esclusi dal voto per motivi logistici, sanitari o professionali. Pensiamo ai quasi 6 milioni di italiani iscritti all’AIRE, che devono affrontare ritardi postali e lungaggini per votare dall’estero. O agli studenti fuori sede, ai lavoratori in trasferta, alle persone con disabilità motorie.

Digitalizzare il voto significa rimuovere ostacoli reali, garantire un diritto con la stessa immediatezza con cui oggi si prenota una visita medica o si firma un contratto online. Non significa obbligare nessuno a votare via web, ma offrire un’opzione aggiuntiva, accanto ai metodi tradizionali.

Italia: una strada già tracciata (ma non ancora percorsa)

L’Italia non parte da zero. Abbiamo già una infrastruttura digitale di base: SPID, CIE, PagoPA, Fascicolo Sanitario Elettronico, ANPR. La tecnologia c’è, manca una visione politica chiara. In passato sono stati fatti alcuni tentativi: progetti pilota in Trentino, sistemi per il voto nei consigli universitari o negli ordini professionali, ma nessuna spinta organica a livello nazionale.

Un possibile percorso potrebbe essere:

- Sperimentazione su scala ridotta, ad esempio per gli italiani all’estero

- Estensione al voto elettronico presenziale, con tablet certificati nei seggi

- Graduale apertura al voto remoto, partendo da categorie specifiche (fragili, militari, studenti fuori sede)

- Adozione diffusa, con sistema centralizzato, auditabile e gestito da enti pubblici indipendenti.

La democrazia è fatta di contenuti, ma anche di forme. Se le forme diventano inaccessibili o obsolete, i contenuti rischiano di svuotarsi. È una necessità politica. Modernizzare il voto non significa svilire il processo democratico, ma renderlo coerente con il nostro tempo. Non si può restare legati alla cabina e alla matita copiativa come se fossero reliquie sacre. Il voto deve tornare a essere un gesto naturale, accessibile, sicuro, quotidiano. Come lo sono ormai tante attività della nostra vita civile. Il digitale può restituire ai cittadini ciò che oggi rischiano di perdere: la possibilità di contare.