Ecco le vostre storie che narrano di amori e di passioni. Questa è la quinta storia arrivata alla nostra redazione e che vi proponiamo ovviamente in forma anonima.

Se anche tu hai una storia da raccontarci scrivici a redazione@lactv. it.

Il mio peccato. Non so nemmeno più da quanto non dormo davvero. Certe notti, quando mio marito russa piano al mio fianco, io resto lì, occhi aperti nel buio, il cuore stretto come un nodo. E penso a lui. A quell’uomo. A quella dannata menzogna travestita da amore. L’ho incontrato per caso, o almeno così ho voluto credere. Una libreria del centro, un pomeriggio qualunque. Io cercavo una via di fuga, lui si è offerto come rifugio. «Ti piace la poesia?» mi ha detto. Sì. Ma a me non interessavano i versi. Io volevo essere toccata.

Nel senso che volevo sentirmi interessante. E lui mi guardava con quegli occhi, poi con le mani mi ha sfiorata. Non mi ha mai chiesto se fossi sposata. Non mi ha mai detto se fosse libero. Ma c’era un’ombra in lui. Uno spessore, una gravità che faceva paura. Parlava poco. Ma mi guardava con uno sguardo che non si dimentica, entrando in me, in profondità. Mi ascoltava come se stesse studiando la mia anima, non le mie parole.

Abbiamo iniziato a vederci in silenzio. Niente messaggi, niente promesse. Solo corpi. Solitudine che si cerca, si contorce, si azzanna. Lo facevamo ovunque. Sul pavimento gelido di un appartamento vuoto. In macchina, con la pioggia che batteva sui vetri. In un albergo con le tende chiuse e il crocifisso sopra il letto. Dio. Quel crocifisso. Lo guardava ogni volta. Io gli dicevo di guardare me, solo me. E lui abbassava gli occhi. Ma non era per amore. Era per vergogna. Io non cercavo redenzione. Cercavo il danno. Volevo sporcarmi fino in fondo, affondare fino al cuore. Volevo che mi amasse come si ama una ferita: sapendo che farà male ogni volta che la tocchi. E lui lo faceva. Ma poi mi lasciava lì, mezza nuda e del tutto persa, senza mai restare.

Una sera, l’ho seguito. Avevo bisogno di verità. Di capire perché ogni nostro bacio era un passo verso il baratro, eppure non bastava mai. L’ho visto entrare in una chiesa. L’ho visto togliersi la giacca, indossare il colletto bianco. L’ho visto salire sull’altare. Ho vomitato. Lì, davanti alla porta. Come si vomita il veleno. Come si vomita l’anima. Un prete! Un dannato fottuto prete. E io? Io la sua amante, il suo peccato, la sua bestemmia. Avrei voluto urlargli addosso. Spaccargli la faccia. Invece sono rimasta lì, muta, con il petto che mi scoppiava e le mani che tremavano come rami secchi.

Torno ogni tanto in quella chiesa. Mi nascondo in fondo, tra le ombre. Lo guardo mentre celebra. E ogni volta che alza il calice, io sento ancora il suo respiro tra le gambe. E lo odio. E lo amo. E vorrei strappargli la veste e gridare a tutti cosa ha fatto. Cosa abbiamo fatto. Ma non lo farò. Perché il vero inferno, io lo porto dentro. E non c’è confessione che possa salvarmi da questa condanna. Io l’ho amato. E lui mi ha lasciato bruciare. Ora sono qui a raccontarlo a voi, perché non ho nessuno a cui far sentire il peso del mio peccato. Il mio dolore, la mia dannazione. Non giudicatemi, non condannatemi.