Il caso

La Calabria si è dimenticata del suo elefante preistorico: abbandonati in Molise i reperti trovati in Sila

VIDEO | Prima il ritrovamento casuale quattro anni fa sulle rive del lago Cecita, poi la promessa di fondi per finanziare altri scavi e riportare in Calabria i reperti, infine il silenzio. Storia di un’occasione mancata (l’ennesima)

di Alessia Principe
12 ottobre 2021
14:45

Prima i riflettori, le promesse, persino i gadget, poi il silenzio assoluto. La vicenda dell’Elephas Antiquus, i cui resti sono stati ritrovati sulle rive del lago Cecita nel 2017, parte con una scoperta casuale come accade un po’ con tutte le belle storie, solo che questa è una storia interrotta sul più bello.

Elefante preistorico, Curcio: «Non sappiamo più nulla da 4 anni»

«Come Parco nazionale della Sila fummo coinvolti nel ritrovamento per dare supporto logistico ai ricercatori – spiega il Presidente del Parco Francesco Curcio -. Ho cercato di informarmi sul destino di quei resti, anche tramite persone che all’epoca parteciparono attivamente agli scavi, ma nessuno sa nulla, solo che i reperti si trovano in Molise, nient’altro».


La verità è che i resti dell’Elephas sono ancora lì, nel dipartimento molisano, perché i famosi fondi che dovevano arrivare per finanziare la ricerca non si sono mai visti.  

Elefante preistorico: «Si pensa solo alla Magna Graecia»

«In questa regione non c’è molta considerazione per quanto riguarda l’archeologia preistorica, si bada più alla Magna Graecia e a quanto ci gira intorno – spiega Felice Larocca, paleontologo calabrese che partecipò agli scavi. Più che arrabbiato è deluso. Davanti a una scoperta così importante si sarebbe aspettato un movimento di forze diverso e invece né movimenti, né forze in campo per una scoperta che altrove avrebbe conquistato il posto migliore in un buon museo -. Quell’anno sia i colleghi del Molise che noi dell’Università di Bari, facemmo tutto spinti da pura passione e su base volontaria ma quella non basta, evidentemente. Per datare i resti e restaurarli c’è bisogno di soldi e di quelli non se ne sono mai visti».

Elefante preistorico, Molise: non vogliamo trattenere i reperti

Antonella Minelli, docente dell’Università del Molise, ha coordinato gli scavi all’epoca. Al telefono ci spiega come stanno le cose. «Ho parlato spesso con la precedente Soprintendenza calabrese e non facevano che rassicurarmi sul fatto che si sarebbero mossi presto per reperire questi fondi destinati alla conservazione, datazione e studio dei reperti, ma a un certo punto qualcosa si è inceppato e sono spariti tutti. Mi sono trovata spesso in situazioni imbarazzanti, qualcuno diceva anche che l’Università del Molise voleva tenere quei resti per sé, un’idea assurda. Noi abbiamo prestato la nostra opera con grande spirito di servizio e gratuitamente, mi dispiace che passino messaggi distorti».

Elefante preistorico, parte dei reperti è già esponibile ma...

Alcuni studi sui reperti sono stati condotti ugualmente, a spese dell’ateneo molisano, ma ci sarebbe ancora molto lavoro da fare e senza fondi non si può proseguire.

«La ricerca va avanti così, se non ci sono i finanziamenti, le attività si bloccano. Qualcosa è anche già esponibile, noi siamo pronti a inviare il materiale ma è la Soprintendenza che ci deve autorizzare» dice la Minelli.

Elefante preistorico: cera una volta in Sila…

Ma facciamo un piccolo salto all’indietro, solo di quattro anni fa quasi esatti. Su un terreno di proprietà privata, venne notato un oggetto strano da due impiegati della Soprintendenza che si trovavano lì a passeggiare sulla lingua di terra che bacia le acque del lago.

Era qualcosa di metallico e sembrava molto antico. Ne parlarono con l’allora Soprintendente ai Beni archeologici, Mario Pagano (che lasciò l'incarico nel 2020) il quale andò sul posto e scoprì che a luccicare sotto il tenero sole d’autunno era una scramasax longobarda. Ma subito sotto lo strato altomedievale era affiorato anche dell’altro: un grande osso di mandibola, una zanna di elefante di tre metri e mezzo e un femore di grosse dimensioni. Erano i resti di un elephas antiquus.

Le acque del lago Cecita, all’epoca, si erano di molto ritirate a causa della siccità, e proprio su quelle sponde, nei dintorni del Cupone e di una vecchia colonia abbandonata, il terreno limaccioso aveva svelato ossa sepolte lì da millenni. Ad arrivare sul sito, chiamati da Pagano, furono i ricercatori dell’Università del Molise, tra i più grandi esperti in Italia del ramo paleontologico, che in quel momento, per coincidenza, stavano scavando proprio in Calabria, a San Lorenzo Bellizzi, in una grotta.

Elefante preistorico: benvenuti al Jurassic Park

In quei mesi il progetto di creare un grande Museo archeologico e di fare della Sila il cuore di una campagna di scavi senza precedenti, sembrava quasi a un passo. «Benvenuti al Jurassic Park!» scherzò qualcuno, solo che nella Isla Nubar di Crichton non si badava a spese, in Calabria non è proprio sempre così, specie quando si parla di arte e cultura.

I resti dell’animale, facevano supporre anche l’esistenza, nei dintorni, di altri fossili magari nascosti sotto le acque di un lago Cecita (ora in gestione Enel) che esiste lì dal Pleistocene, prima della secca di 10mila anni fa.

Elefante preistorico, che fine hanno fatto i soldi?

Il Parco nazionale della Sila, il Comune di Spezzano e la Soprintendenza calabrese stilarono un protocollo d’intesa (così almeno si annunciò all’epoca) per la conservazione dei resti dell’Elephas che prevedeva l’impegno a svolgere le attività istituzionali connesse allo scavo, rimozione e conservazione dei reperti; il supporto logistico agli operatori impegnati nelle operazioni di recupero e primo consolidamento dei resti ossei; la messa a disposizione di eventuali studi già realizzati; la partecipazione all’organizzazione di convegni, seminari, iniziative ed in generale alla divulgazione dei risultati ottenuti. Inoltre, in via emergenziale, erano stati stanziati, direttamente dal Ministero 50mila euro che, a quanto pare, non sono mai arrivati.

«Ricordo che noi come Comune mettemmo a disposizione 5mila euro, che era tutto quello che potevamo dare – spiega Salvatore Monaco, sindaco di Spezzano della Sila – e anche il Parco fece la sua parte assistendo tutta la squadra da un punto di vista organizzativo e logistico».

Elefante preistorico, l’avanzata francese e la ritirata spagnola

Nel bel giro di conferenze stampa, saltò fuori che l’ex presidente della Regione Mario Oliverio, aveva tutta l’intenzione di mettere sul piatto 100mila euro per completare gli scavi, aprire nuovi cantieri e provvedere ai reperti sin lì acquisiti che sarebbero dovuti ritornare, al più presto, in Calabria.

Era il 7 dicembre del 2017. Sembrava dovesse accadere tutto e invece accadde nulla.

Intanto Mario Pagano lasciava la Soprintendenza calabrese, al governo Oliverio era succeduto quello Santelli e della vicenda non si parlò più.

«Provammo a contattare i nuovi vertici regionali per sapere se si sarebbe dato seguito a quel famoso finanziamento – dice Monaco – ma nessuno ci ha mai risposto, forse sarebbe ora di sapere che intenzioni hanno».

Elefante preistorico, mentre il mondo ne parlava la Calabria dimenticava

La zona, una volta partiti i ricercatori molisani, è tornata esattamente quella che era prima, una striscia di terra da cui godere di un bel tramonto. Insomma niente scavi, niente studi, niente sonar per vedere cosa nasconde il lago, niente. Intanto che qui si tiravano via le recinzioni, il mondo parlava della Calabria come una terra di misteri da scoprire.

Il National Geographic titolò: “Gli elefanti preistorici della Calabria” dedicando un lungo articolo al ritrovamento. «Una scoperta notevole anche alla luce del possibile collegamento con alcuni megaliti situati non molto distanti dal lago Cecita: vicino all’abitato di Campana, a cavallo fra il Mar Jonio e la Sila, si stagliano infatti due imponenti strutture di pietra che a parere di diversi studiosi sarebbero il risultato di scalfittura di tipo antropico. In particolare una delle due supposte sculture mostra le sembianze di un elefante dalle zanne dritte, con ogni probabilità proprio Elephas antiquus» si legge nel pezzo a firma di Giuseppe Intrieri.

Elefante preistorico, niente scavi ma via ai gadget

I reperti del peso di quasi 800 chili, furono impacchettati e portati in Molise su diversi camion (anche in modo avventuroso), dove gli studiosi avrebbero dovuto datarli e catalogarli prima di rispedirli in Calabria. E lì sono rimasti fino ad oggi. Nel mentre qui si pensava al marketing. Nell’autunno del 2018 fu lanciato il progetto “Archeologia @ Sila” con lo scopo di presentare alle scolaresche l’Elephas Game, un libro-gioco progettato pensando a un’attività ludica che aspirava ad essere uno strumento di promozione culturale, «alla luce del rinvenimento a Camigliatello Silano (CS) dei resti di un Elephas anticuus risalente probabilmente a 700mila anni fa».

Probabilmente 700mila, perché ancora una datazione non c’è stata né è chiaro se mai ci sarà.

Intanto che i reperti aspettano che qualcuno si decida se vale la pena o no investire per capirne di più, viene da pensare che tanto valeva rimanessero dov’erano, sotto il Cecita che li aveva protetti per migliaia di anni, prima che arrivassero le promesse che, quelle sì, sciupano tutto e anche in fretta.

 

Giornalista
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