La cronaca di oggi: ha ucciso la compagna «con un numero smisurato di coltellate», dopo essersi tolto il braccialetto elettronico. Aveva già violentato la sorella della vittima.

È accaduto a Verona. L’ennesimo, drammatico femminicidio.

Ci si sta abituando a una notizia che non dovrebbe mai diventare normale: il femminicidio quotidiano. Episodi che colpiscono per la loro brutalità – come quello di oggi, definito dalle forze dell’ordine «un numero smisurato di coltellate».

Ci troviamo di fronte all’uomo-bestia, all’uomo violento, a colui che per secoli ha dominato e ucciso la donna, costretta alla sottomissione, priva di diritti. Di quell’uomo sopravvive oggi il marito, il compagno, l’amante che non accetta di essere lasciato, di vedere finire un rapporto, di essere allontanato da casa. E l’uomo-bestia torna a dominare, a uccidere.

I dati confermano un bilancio gravissimo, che si ripete anno dopo anno, nonostante nuove leggi, codici, braccialetti elettronici e poteri rafforzati alle forze di polizia. Nonostante tutto, assistiamo quotidianamente al dramma delle donne massacrate.

Nel 2024 sono state uccise 113 donne, di cui 61 per mano del partner o ex partner.

Tra il 2024 e il primo trimestre del 2025, le vittime sono state 130; di queste, 113 in ambito familiare o affettivo e 71 per mano del partner o ex partner.

Da gennaio a luglio 2025: 60 femminicidi, con un +15,1% di vittime uccise da partner o ex partner.

Da inizio 2025 a ottobre: 70 femminicidi.

La maggioranza delle vittime è uccisa da partner o ex (54% nel 2024). Oltre il 95% sono maggiorenni, l’82% italiane. Circa l’80% degli omicidi avviene in ambito familiare o affettivo.

Molti elementi si ripetono: l’uomo “insospettabile”, bianco, cattolico, “una brava persona” secondo i vicini, che crolla nella violenza quando perde il controllo totale – e brutale – sulla compagna. Perde la testa, diventa una belva.

La verità è che, pur con strumenti normativi avanzati, il fenomeno non si sradicherà finché non si scardinerà l’impianto culturale che lo alimenta: il possesso della donna, la gelosia patologica, l’incapacità di accettare un “no”, l’idea che essere lasciati sia una sconfitta dell’uomo dominante.

L’appello di questo servizio è chiaro: senza una rivoluzione culturale profonda, le leggi da sole non fermeranno la strage silenziosa delle donne.

Tutte le istituzioni devono intervenire, avviando un percorso educativo che sia anche prevenzione: partire dalla scuola, insegnare il rispetto, smontare gli stereotipi dell’uomo dominante e della donna “oggetto”. È essenziale educare al consenso, alla non violenza, all’accettazione del rifiuto.

Fondamentale è la formazione continua degli operatori: forze di polizia, magistrati, servizi sociali. Riconoscere i segnali che precedono il dramma può salvare vite.

Straordinario è anche il ruolo dei media – tv, cinema, stampa, social – che devono rappresentare relazioni sane, denunciare efficacemente le violenze senza banalizzarle. I femminicidi non sono casi isolati: sono il sintomo di un fenomeno radicato, strutturato, che va affrontato fin dai primi segnali.

Quando una vittima sporge denuncia, spesso la tragedia è già iniziata. Occorre intervenire subito: alle prime segnalazioni, ai primi atti persecutori, alle scenate di gelosia ossessiva. Servono protezione per le vittime e percorsi di rieducazione per gli autori.

E serve il coinvolgimento degli uomini, di tutti. Non si può restare spettatori. I modelli maschili devono cambiare: la parola “maschio” non può più essere sinonimo di “dominante” o “possessivo”, preludio del “violento”. Serve un impegno condiviso, culturale, educativo e civile.