I poteri marci, la lotta alle mafie e alle massomafie, le ragioni dei garantisti, la mancata rivoluzione del ’92, il ruolo della politica, la difesa della democrazia e del mandato popolare
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«I magistrati devono parlare, il silenzio può essere complicità». È stata questa la frase chiave di Nicola Gratteri in una lunga intervista pubblicata dal “Corriere della Sera”, sabato scorso, a firma di Simona Brandolini. Il Procuratore della Repubblica di Napoli sarà protagonista, su La7, di un nuovo progetto d’informazione: quattro puntate sulla storia e sulla realtà delle mafie, con particolare riferimento alla ’ndrangheta e alla camorra, e alle rispettive ramificazioni nel mondo intero.
Veniamo al nodo della questione, tentando di evitare approcci ipocriti o strumentali. Gratteri continua a dire la sua senza timori reverenziali, a presenziare in trasmissioni televisive, a rilasciare interviste, a partecipare a convegni: contesta le norme sulla giustizia che non lo convincono (dalla Cartabia a Nordio), suggerisce soluzioni per il sistema carcerario, spiega come, alla luce della sua lunga esperienza, le mafie si siano trasformate e rafforzate, anche utilizzando al meglio le nuove tecnologie (internet, intelligenza artificiale), né si esime dal rispondere a quanti criticano l’esito di porzioni di inchieste, invitando a guardare le cose con una visione più ampia e “storicizzata”.
Gratteri sul “Corsera” ha spiegato: «Penso che il magistrato abbia sempre il dovere di parlare, soprattutto in un Paese che ha scelto di convivere con le mafie […]. È in corso un processo di normalizzazione delle mafie, soprattutto ora che hanno deciso di centellinare la violenza o meglio di usarla quando è strettamente necessaria». E poi una chiosa fondamentale: «Le manette e le sentenze da sole non bastano. È necessario liberare i territori dai bisogni e dalle paure». Per questo suo modo di essere Nicola Gratteri è stato incensato sia da esponenti di destra sia di sinistra, così come è stato odiato e criticato, anche con contestazioni durissime.
Gratteri non è mai stato strabico nel perseguire mafiosi e amici dei mafiosi, colletti bianchi corrotti e massomafiosi, né si è schierato con questa o quella corrente. Gratteri sa bene che la mafia non fa politica in senso stretto, non ha un colore preferenziale, ma affari con chiunque e ovunque sia possibile. Viviamo un’epoca in cui (il Procuratore di Napoli lo spiega bene in diversi dei suoi libri di successo) il problema primario della ’ndrangheta è quello di riciclare l’immensa quantità di risorse finanziare di cui già dispone, accumulate grazie al traffico internazionale di droga e non solo. Riciclare significa ripulire il denaro sporco in attività apparentemente lecite, con la complicità di professionisti compiacenti e cercando di eludere, anche con l’ausilio di tecnologie avveniristiche, i controlli sempre più serrati sugli spostamenti dubbi di denaro e sulle “fortune” improvvise.
Gli interessi economici primari delle mafie meridionali si sono trasferiti, così come stanno dimostrando numerose inchieste, verso le aree del mondo più ricche e popolose, o dove le normative hanno maglie più larghe: ci sono contesti opulenti e permeabili in cui è più agevole intrufolarsi nel tessuto vivo della società, o addirittura nei meandri delle istituzioni, magari corrompendo e comprando appoggi rilevanti. Riciclare denaro in Calabria non è semplice, e per certi versi è anche rischiosissimo: l’ambiente è piccolo, la povertà è diffusa, gli anticorpi dello Stato funzionano. Se acquisti o apri due bar eleganti a Milano o a Roma non ti nota nessuno, se lo fai a Bovalino, a Limbadi o a Cirò Marina sei sotto i riflettori il giorno dopo (la citazione dei luoghi è puramente casuale).
Chiunque viva in Calabria sa che, a ragione o no, dietro repentini successi economici c’è quasi sempre un chiacchiericcio fastidioso, alimentato anche da invidie, rancori, gelosie, resistenze psicologiche. Magistratura e Forze dell’Ordine, in Calabria come in altre regioni del Sud, sono presenti, forti, radicate, esperte, e sorvegliano il territorio con scrupolosa attenzione. Le attività criminali ovviamente “resistono”, ma in un rapporto costi/benefici il Nord Italia o l’estero diventano sempre di più attrattivi. Restano in piedi, nel Mezzogiorno, con maggiore pervasività, gli intrecci “massomafiosi”, fatti di collusioni tra esempi di politica deviata, imprenditoria insana e rapace, frammenti di Stato e di Enti Locali corrotti, ceppi di burocrazia famelica e infedele: parlano inchieste e sentenze. Mentre l’economia privata langue, infatti, le risorse pubbliche da aggredire continuano ad essere notevoli (appalti, servizi primari…).
Né il mondo politico né quello burocratico, difficile negarlo, hanno fatto un salto decisivo collettivo verso l’affermazione assoluta della sola meritocrazia e della competenza: clientele, favoritismi, familismi amorali e ruberie continuano purtroppo a inquinare e prevaricare. Qualcuno si starà chiedendo: perché questa apparente deviazione di ragionamento rispetto all’incipit? Proprio per dare una risposta netta e convinta alla questione iniziale: Nicola Gratteri ed altri magistrati come lui hanno piena ragione nell’esporsi e nel rivendicare il diritto di parlare al Paese perché il sistema nel suo complesso è ancora un ammalato grave.
L’equilibrio e l’armonia tra i poteri sono princìpi certo irrinunciabili di uno Stato di Diritto compiuto. Ma diciamoci la verità: l’Italia uscita da Tangentopoli non ha saputo rinnovarsi in modo profondo per costruire assetti solidi. La rivoluzione del ’92 fu per certi versi scontata e forse ineludibile, inserita com’era in un quadro di mutati contesti geopolitici globali, ma risultò anche monca, strabica, incompleta, parziale, per troppi aspetti gestita in modo demagogico, generando così nuove preoccupanti forme di squilibrio che sono tuttora davanti agli occhi di tutti. Oggi la vita politica, nel suo complesso, è più debole che ai tempi della Prima Repubblica: talora prevalgono i comitati elettorali, i gruppi di potere, se non le lobby, rispetto ai partiti che, per quanto da curare, erano comunque un fondamentale e insostituibile presidio di vita democratica.
Stare dalla parte dei magistrati come Gratteri significa, quindi, continuare a sperare che la società tutta possa avvertire a stragrande maggioranza il desiderio di veder prevalere, finalmente, competenza e merito nella gestione della cosa pubblica, distruggendo per sempre clientele, sperperi, forzature indebite, arricchimenti illeciti, sopraffazioni, e restituendo alla politica il ruolo costituzionale che deve avere. Fino a quando in Calabria si assumerà qualcuno in modo clientelare e spartitorio (o si conferiranno incarichi tanto ben remunerati quanto ingiustificati, con esclusivo criterio selettivo dell’appartenenza acritica), si genereranno detentori di privilegi immeritati che rappresentano modelli negativi ma ambìti. Fino a quando certa burocrazia intossicata (una minoranza rispetto a tanta gente che lavora in modo coscienzioso) non lavorerà con l’unico obiettivo del bene comune, si continueranno a calpestare i diritti dei figli di nessuno o di quanti hanno titolo per essere presi in considerazione.
Ben vengano allora i magistrati coraggiosi come Gratteri ed altri suoi valenti colleghi, sempre pronti, senza pregiudizio politico-ideologico, a difendere i princìpi sanciti dalla Carta Costituzionale e dalle leggi cui essi stessi sono sottoposti. Non sarà mai condivisibile, invece, perché pericolosamente eversivo, e quindi cura peggiore del male da estirpare, un eventuale uso politico della magistratura. La giustizia brandita come arma subdola per eventuali rese dei conti politiche non avrebbe mai un consenso diffuso e maggioritario, perché si proporrebbe come un arbitro che bara per orientare il gioco.
Lo stesso Gratteri, dopo i noti scandali, si è più volte soffermato sui limiti dimostrati in passato da un certo modo di intendere il Csm e il governo dei magistrati: distorsioni inaccettabili che hanno determinato sfiducia nell’opinione pubblica, nonché prevedibili reazioni da parte di settori della politica o dell’economia che hanno pagato sulla propria pelle forme di “giustizia ingiusta”. Né in una valutazione serena si può omettere di porsi il problema, sollevato dai garantisti e che pur esiste, degli assolti, magari dopo anni e anni, da accuse gravi e pesanti, con contorno di carriere stroncate, anche politiche, di ingenti contraccolpi economici, di drammi familiari e personali. È accaduto anche questo, purtroppo, ed alcuni nodi del sistema giustizia dovranno essere affrontati nel modo corretto per limitare il più possibile danni e tragedie umane. Ancora più preoccupante è la dinamica di aziende che, colpite da provvedimenti giudiziari pesanti, ma poi sollevate da ogni contestazione, hanno di fatto perso quote di mercato, smalto, dinamicità, se non sono addirittura crollate.
Questa parte del ragionamento, però, che pure va affrontata con la dovuta serenità risolutiva, non può in alcun modo costruire una sorta di base politico-ideologica per colpire Nicola Gratteri ed altri suoi valorosi colleghi che lottano strenuamente contro le mafie e il malaffare. La domanda semplice, da porsi, è sempre una: la ’ndrangheta e la camorra sarebbero state più spavalde, energiche e baldanzose senza la determinazione di magistrati con la forza di Gratteri? La risposta è immediata: sì, non avrebbero avuto limiti, si sarebbero impossessate di ogni angolo dei territori di riferimento! ’Ndrangheta, mafia e camorra hanno il terrore di Gratteri, così come lo avevano di Falcone, di Borsellino, di Chinnici, di Livatino, di Scopelliti, nonché di tanti altri magistrati incorruttibili che fanno quotidianamente il proprio dovere, ognuno senz’altro con il proprio stile e carattere. Ecco la bussola per orientarsi.
Se poi la domanda la si sposta sul fronte della massomafia, la risposta è ancora più decisa: due “sì”, perché il terzo livello degli “insospettabili”, dei burattinai e degli “incappucciati deviati” è quello che si agita di più quando viene individuato e colpito. Anche i suoi più convinti oppositori stiano certi che quando Gratteri andrà in pensione molti mafiosi e massomafiosi brinderanno, sebbene siano consapevoli che numerosi altri magistrati seri e attrezzati non molleranno mai la presa!
Da Tangentopoli ad oggi, e quindi da oltre trent’anni, il sistema italiano presenta preoccupanti criticità ed emergenze irrisolte. Il primato della politica va difeso per non liquidare la democrazia repubblicana: la sovranità appartiene al popolo, scrissero i costituenti nell’Articolo 1 della Carta. Spetta pertanto alla politica migliore, che ha il consenso democratico, trovare le soluzioni giuste, nella piena consapevolezza che i buoni, come i cattivi, non stanno da una sola parte. C’è tanta gente pulita di destra e tanta gente pulita di sinistra o di centro, così come i mascalzoni sono equamente divisi sotto bandiere che spesso non significano nulla, se non strumenti camuffati per partecipare a lotte di potere e di cieca spartizione.
Ogni semplificazione maldestra o strumentale è da rigettare, anche sul fronte geopolitico internazionale che meriterà uno specifico approfondimento, finalizzato a sfatare luoghi comuni che ignorano volutamente i misfatti degli ultimi decenni. Ben vengano le trasmissioni tv di Nicola Gratteri, e i suoi continui stimoli, perché serviranno a comprendere meglio la natura mutante di ’ndrangheta, camorra e massomafie, nonché a tenere alta l’attenzione sui poteri marci!