Il piano strategico recentemente approvato da governo parla di zone destinate a «declino e invecchiamento» senza possibilità di invertire la tendenza. Per salvare i luoghi del cuore e il Paese tutto non resta che la restanza
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La situazione delle aree interne è sotto gli occhi di tutti. Interi paesi nel tempo hanno avuto un’emorragia demografica che li ha visti inermi salutare definitivamente la sua gioventù migliore la quale è andata via definitivamente con valigie piene di malinconie. Ciò tante volte i nostri giovani lo hanno fatto e continuano a farlo per bisogno più che per scelta, per questo si può parlare tranquillamente senza il rischio cadere nel banale, di una una condanna a partire che gravita sulla testa di chiunque nasca in un contesto diverso dai grossi centri urbani.
Eppure la Costituzione nell’art. 3 quando senza mezzi termini dice che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”, parla chiaro! Tagliare la spesa sui servizi essenziali di chi vive nei piccoli paesini, è di fatto una discriminazione a tutti gli effetti, nonché un modo per spingere all’emigrazione anche chi vorrebbe rimanere ma non può fare a meno certe volte di curarsi, avere un lavoro dignitoso oppure semplicemente far studiare i propri figli. Di questo circolo vizioso innescato da una politica più che miope, quasi completamente ceca ai bisogni di intere aree italiane eppure di grande rilievo le quali come se non bastasse, tante volte sono penalizzate pure dalle vie di comunicazioni, va detto chiaramente, è colpevole sia la destra che la sinistra. Ora però se questo progetto fino a poco tempo fa, come un fiume carsico era percepibile ma non del tutto visibile, il governo in un documento chiamato “Piano strategico nazionale delle aree interne” passato quasi in sordina dai media, ha definitivamente gettato la maschera mettendolo nero su bianco.
Infatti nel suddetto documento trovabile facilmente anche su internet per chi voglia leggerlo, tra le pagine 44 e 45 sta scritto questo inquietante punto: “Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”. Ciò, senza troppi giri di parole è come se ci sia la volontà chiara che un’Italia di Serie B, deve essere aiutata ad una morte lenta ed ineluttabile in favore di una Italia di Serie A.
Un modo di pensare francamente urbanocentrico che sembra lasciare poco spazio all’interpretazione. In un mondo dove tristemente cresce la febbre della guerra e dove l’Italia sciaguratamente ha deciso di impegnarsi a spendere il suo 5% nella spesa militare, tutto il resto ormai sembra passare in secondo piano. In tutto, a rischiare in primo luogo sarà la persona fisica che perderà in servizi come istruzione, cultura e soprattutto sanità. Amaramente e senza ipocrisie, da un certo punto di vista conviene pienamente alla politica questo spietato piano di svuotamento delle aree interne, perché in virtù di ciò potrà sentirsi libera di tagliare in strutture ospedaliere ed altri uffici che eppure ancora ad oggi occupano significativi bacini di utenza. Tuttavia chi scrive pensa che per l’Italia intera non potrà esserci futuro se parte di essa muore, poiché inesorabilmente morirà anche essa stessa.
Proprio qui entra in gioco la restanza attiva ed ostinata tanto cara al professore Vito Teti, la quale rimane la maggiore forma di resistenza democratico-culturale che si possa fare per non soccombere. Vivere attivamente, abitare e riempire quei luoghi del cuore con tutte le difficoltà del caso, diventa un atto nobile e giustificato dall’amore per le radici e per una vita semplice e tranquilla lontano dal logorio delle città. A tutto questo va aggiunta anche un pizzico di poesia. Quest’ultima è premura: da sempre è medicamento per l’animo umano e chissà non possa pure esserlo anche per dare la meritata dignità a quei luoghi attraversati dalle mandrie nella transumanza, dove nelle notti d’estate le stelle fremono nel cielo più nitidamente e dove l’umanità ha ancora mantenuto intatto tutto il suo valore. No, non possiamo permetterci di rassegnarci poiché come scrive il poeta Franco Arminio, “I paesi stanno sparendo, sta sparendo un mondo e da questa sparizione noi che abitiamo i paesi siamo attraversati come da una slavina silenziosa”.