Il racconto

«Torno giù», la frase magica che guida i calabresi fuorisede verso il Natale a casa

Non è solo una routine che si rinnova ogni anno. È un giro di boa, è l’obiettivo a breve termine di chi è costretto suo malgrado a vivere al Nord. E quando arrivi tutto ti sembra bello anche ciò che non lo è

di Giusy D'Angelo
24 dicembre 2021
18:45

Un fuorisede lo sente. Appena superato il massiccio del Pollino, l’aria di casa pervade i polmoni. Riprendono le funzioni vitali, il cuore comincia a galoppare. Per settimane hai resistito alle rigide temperature delle regioni settentrionali, sfidato la Padania e le sue nebbie. Poi, con il Natale alle porte, hai buttato due valige con quattro vestiti in auto, riempito il bagagliaio di regali e via. Guidando verso Sud, hai attraversato trionfante gli appennini e chilometro dopo chilometro hai immaginato il rientro dopo mesi d’assenza. Virus, vaccini, varianti. Cuore pesante e incertezze. Com’era la vita prima del Covid non lo ricordi più. Neri pensieri che l’alba del Sud spazza via. Rivedi il sole e l’azzurro del cielo dopo mesi di grigiore, di giornate fotocopia scandite dal lavoro e dagli impegni. 

Torno giù

Quel “Torno giù” può essere nulla, invece per te significa tutto. La Calabria è il luogo degli affetti, l’abbraccio dei nonni, il bacio in fronte di tua madre. La Calabria è il luogo dei sentimenti non repressi, delle conversazioni a voce alta, delle risate sguaiate, dei piatti abbondanti e del "Lo vuoi un caffè?" a qualsiasi ora del giorno. Ritrovare la famiglia a Natale riempie il cuore, non guarisce le ferite ma le rende più sopportabili. Del resto "casa" è questo e molto altro. È l'odore di soffritto alle 7 del mattino che riempie la cucina mentre seduto al tavolo inzuppi biscotti nel latte e ti domandi quale peccato devi espiare.


È lo sfrigolio dell'olio caldo mentre friggono le zeppole. Ne rubi una, affondi i denti con soddisfazione ma ti ustioni il palato. È il fumo dei camini che invade ogni viuzza del paesello e si appiccica addosso senza chiedere permesso.

È il frigo pieno di bontà da non toccare perché destinate al giorno di Natale. È la melodia della "ninna" che risuona per le strade e nel cuore della notte ti fa sobbalzare dal letto. È quel panettone speciale sotto l'albero che vorresti aprire ma aspetti il momento perfetto. Poi sto momento magico non arriva mai e te lo ritrovi lì, a festività finite, che con sguardo sprezzante ti giudica mentre inizi a mettere da parte gli addobbi. E finisci per parcheggiarlo in dispensa almeno fino a Pasqua.

E c'è di più. Tornare a casa ti rende più tollerante, solidale, benevolo. Noti le macchine parcheggiate selvaggiamente ma non esplodi di rabbia. La pressione sanguigna resta stabile anche dinnanzi a luminarie natalizie improponibili, inchiodate senza logica sui balconi in una accozzaglia cromatica che ti proietta già a Carnevale. E quando rispondi senza scomporti alla sfilza di domande inquisitorie e urticanti dei parenti - dal quando ti laurei passando al quando ti sposi, al quando fate un figlio o quando ne fate un altro- ti dai una pacca sulla spalla e ti compiaci delle tue capacità di auto-controllo.

Il Natale in Calabria è un turbinio di emozioni. È un viaggio non solo tra torroni fatti in casa, pranzi/cene da sei ore e partite a briscola dove non vinci mai. È il calore di un camino, il profumo di cibo buono, il vino sulla tavola, il viso delle persone che ami. Un pensiero vola a chi il virus ha portato via molto più che una festa. Ha strappato con violenza affetti, distrutto famiglie, isolato persone. E ti auguri che in questi cuori orfani si accenda una luce di speranza, si trovi la forza per riconquistare la quotidianità e omaggiare chi vive nei ricordi più belli.

Giornalista
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