Il patriarca di Gerusalemme non ha cercato rifugio fra i palazzi sicuri, ma ha deciso di restare lì dove il dolore è senza misura e i corpi vengono inghiottiti dalla polvere
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C’è un francescano tra le macerie. Un uomo che vive e sopravvive sotto le bombe. È diventato un simbolo che cammina tra le rovine che fumano, immerso nella tragedia immensa di un popolo che quotidianamente subisce lo sterminio nel nome dell’odio e della vendetta. Il suo nome è Pierbattista Pizzaballa. Non è un generale, non è un condottiero, non ha altre armi se non la sua fede incrollabile e il suo coraggio indistruttibile. Il cardinale stava per diventare Papa ma una volta scampato il ‘pericolo’ è tornato di corsa ad assistere il martoriato popolo palestinese, il ‘suo’ popolo. Oggi il cardinale è sempre più un baluardo in mezzo alla distruzione, un simbolo di resistenza che sfida la paura e la potenza della morte.
Il cardinale francescano non ha cercato rifugio fra i palazzi sicuri, né ha voluto sicurezza fra i corridoi discreti della diplomazia. Ha scelto Gaza, l’orrore di Gaza: la terra delle macerie ancora calde, la culla mortale dei bambini che muoiono di fame mentre le madri piangono disperate sotto i bombardamenti. Pizzaballa ha deciso di restare dove il dolore è senza misura, dove i corpi vengono inghiottiti dalla polvere e i villaggi sono cancellati dal fuoco.
Padre Pizzaballa non conta più i giorni che passano, perché sa bene che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo, anche per lui. Giorno e notte ascolta il lamento dei bambini di Gaza, che convivono con il rumore delle sirene e con il boato delle esplosioni. Ma non si muove. Non arretra. Minacciato di morte, sa che il cristianesimo non è una parola vuota, non è un titolo cardinalizio, non è un rito stanco e vecchio: è la scelta di stare con gli ultimi, di condividere con loro la vita e la morte, sul filo del martirio. Come San Francesco che abbracciava i lebbrosi, il cardinale raccoglie il lamento dei bambini moribondi sotto il fumo nero della carestia.
Nelle strade di Gaza, sepolte da tonnellate di macerie, egli appare come un pastore che non abbandona il suo gregge trafitto. Ha scelto di essere testimone di un genocidio che il mondo finge di non vedere. La sua non è una scelta politica, ma fedeltà assoluta al Vangelo, che chiama a condividere la sorte degli oppressi, a non piegarsi alla forza, a sfidare la morte con la sola forza della vita. E su questo sa di essere in sintonia con Papa Leone, che non gli ha mai fatto mancare sostegno e vicinanza. Perché lui è il volto di una Chiesa che non fugge, che non si traveste di neutralità, ma che resta inchiodata alla croce della storia.
Padre Pizzaballa non è soltanto un uomo tra le macerie. È la forza disperata dell’umanità che non vuole accettare passivamente il dolore dell’odio senza fine. È la prova che, nonostante tutto, l’umanità non si è ancora arresa.