«Sono finito anche io nel tritacarne». Così Luciano Garofano, generale in congedo dei carabinieri e volto noto della cronaca nera televisiva, si è sfogato davanti alle telecamere di Quarto grado, parlando del suo coinvolgimento nell’indagine bis sul delitto di Garlasco. Il riferimento è all’inchiesta condotta dalla Procura di Brescia, che ha travolto anche l’ex procuratore capo di Pavia, Mario Venditti, indagato per corruzione, e che ha riaperto il capitolo più oscuro di un caso che da quasi vent’anni continua a riscriversi da solo.

Garofano compare nelle carte come beneficiario di un versamento di 6.343 euro proveniente dalla famiglia di Andrea Sempio, l’amico d’infanzia di Chiara Poggi finito sotto indagine per l’omicidio e poi archiviato. Un nome tornato al centro delle indagini dopo la scoperta che una traccia di Dna compatibile con il suo era presente sotto le unghie della vittima. Per la Procura di Brescia, quel pagamento rappresenterebbe un’anomalia: una consulenza privata, formalmente regolare, ma potenzialmente rivelatrice di un intreccio opaco tra chi indagava e chi avrebbe dovuto essere indagato.

In tv, Garofano ha provato a spiegare tutto come un malinteso: «Voglio respingere con forza le vergognose e ignobili illazioni uscite sulla stampa. Mi è stato chiesto di svolgere una consulenza che ho firmato il 27 gennaio 2017. Ho emesso regolare fattura e ricevuto un bonifico. Per poter interloquire – ha aggiunto – ho letto le conclusioni del dottor Linarello, che non condividevo, e la perizia del dottor De Stefano. Dopo di che ho espresso le mie conclusioni». Fin qui, sembrerebbe tutto chiaro. Ma in realtà, proprio quella frase — «ho letto le conclusioni del dottor Linarello» — rischia di trasformarsi in un boomerang.

Il 27 gennaio 2017, infatti, la consulenza del genetista Pasquale Linarello non era affatto pubblica: faceva parte del materiale riservato depositato dai legali di Alberto Stasi per chiedere la riapertura dell’inchiesta sul delitto Poggi. In quella relazione, Linarello sosteneva che le unghie della ragazza contenessero un Dna maschile “utilizzabile” e che corrispondeva a quello trovato su una tazzina usata da Sempio. Un documento, dunque, che avrebbe dovuto trovarsi solo negli atti segreti della Procura di Pavia, all’epoca guidata proprio da Venditti. Eppure, a quanto afferma lo stesso Garofano, quella consulenza è finita tra le mani della famiglia Sempio.

Come ci sia arrivata resta un mistero — e ora è uno dei punti chiave su cui indaga la Procura di Brescia. Il generale sostiene di aver agito in piena trasparenza, ma la cronologia non gioca a suo favore. Alla data della fattura, gennaio 2017, Andrea Sempio era già formalmente sotto inchiesta per l’omicidio di Chiara Poggi, ma la consulenza di Linarello non era ancora accessibile agli esterni. Dunque, o Garofano ha avuto accesso a materiale investigativo riservato, o qualcuno lo ha fornito alla famiglia Sempio.

Un passaggio delicatissimo, perché da quella fuga di informazioni sarebbero derivate mosse difensive “anticipate” da parte dei Sempio. Secondo quanto emerge dalle intercettazioni e dai verbali, padre e figlio, prima di presentarsi all’interrogatorio, commentavano: «Non ci chiederanno del Dna, ma noi per sicurezza portiamo tutto». Un dettaglio che lascia pensare fossero già a conoscenza della traccia genetica sotto le unghie della vittima — e forse proprio grazie a quella consulenza di Garofano, mai depositata agli atti e mai ufficialmente richiesta da un avvocato.

Un altro elemento sospetto è l’assenza di una nomina formale. Non esiste alcun atto che attesti l’incarico di Garofano come consulente della difesa Sempio. Eppure il pagamento risulta tracciato, regolarmente fatturato e avvenuto poco dopo l’inizio delle nuove indagini. La Procura di Brescia vuole ora capire chi abbia informato i Sempio dell’esistenza e del contenuto della consulenza Linarello e come quella relazione sia uscita dai canali riservati della Procura di Pavia. In filigrana, si disegna il sospetto che qualcuno, dentro o fuori gli ambienti giudiziari, abbia voluto tenere Sempio “al riparo” e al tempo stesso consolidare la versione accusatoria contro Stasi.

Il generale, oggi, parla di “massacro mediatico” e promette querele, ma la sua stessa ricostruzione contraddittoria lo pone al centro di un cortocircuito imbarazzante. La linea di difesa — “era solo una consulenza privata, con fattura e bonifico regolare” — non basta più a chiarire come abbia potuto leggere un documento che, ufficialmente, non era mai stato divulgato. È una gaffe, certo. Ma di quelle che, in un’inchiesta già segnata da vent’anni di errori, omissioni e depistaggi, rischia di pesare come un macigno. E di trasformare l’ex comandante dei Ris in un testimone scomodo di un mistero che — a Garlasco sembra non finire mai.