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Ne servirebbero di più ma ce ne sono sempre meno. Continua la crisi delle imprese artigiane, che anno dopo anno diminuiscono a vista d’occhio. Ma la provincia di Vibo Valentia è tra quelle che subisce meno l’emorragia di professionalità e posti di lavoro, con una flessione del 2,9% tra il 2023 e il 2024, a fronte di una media nazionale del -5%. Ad eccezione di Catanzaro, la provincia che se la passa peggio con 285 artigiani in meno tra il 2023 e il 2024 (da 6.297 a 6.012, pari a una flessione del 4,5%), le altre 4 province calabresi si trovano infatti nelle ultime dodici posizioni nella classifica che illustra la diminuzione delle imprese artigiane e vede svettare Ancona, con il 9,4% di aziende che hanno chiuso tra il 2023 e il 2024. Cosenza è 93esima con 416 artigiani in meno tra il 2023 e il 2024 (da 11.917 a 11.501), Reggio Calabria 99esima con 303 in meno (da 9.185 a 8.882), Vibo Valentia è 104esima con 80 in meno (da 2.749 a 2.669) e Crotone è 106esima, penultima nella graduatoria nazionale, con 78 artigiani in meno tra il 2023 e il 2024 (da 2.853 a 2.775). Lo dicono i dati dell’ultimo rapporto del Centro studi della Cgia di Mestre elaborato su dati Inps ed Infocamere.
Un andamento consolidato, sebbene decisamente più contenuto rispetto al trend nazionale. In Calabria, nel 2014, le imprese artigiane erano erano 37.916, mentre 10 anni dopo, nel 2024, il loro numero è sceso a 31.839, il 16%. Il 2024 è stato un anno molto difficile con 1.162 addii in più rispetto al 2023, il 19,1% dei 6.077 registrati complessivamente dal 2014. La media nazionale, nel decennio, è pari al 22,4% in meno. Il picco nelle Marche, -28,1%. Campania (-15,5%), Trentino Alto Adige (-15,7%) e Calabria (-16%) le regioni italiane con meno addii. Le imprese artigiane in Italia nel 2001 erano 1.398.722 nel 2024 il loro numero è sceso a 1.241.881.
I lavori artigianali si dividono di tre grandi categorie. I servizi alla persona svolti da estetisti, acconciatori, massaggiatori, professionisti del benessere, tatuatori. Le attività nel settore alimentare svolte da chi lavora nelle enogastronomie, nelle gelaterie, nei bar, nelle pasticcerie e nelle rosticcerie. Le attività nel settore non alimentare: falegnami, idraulici, elettricisti, giardinieri, fabbri, fotografi, orafi, vetrai, sarti, calzolai. New entry, proprio nel settore non alimentare e con rendimenti in controtendenza, le professioni informatiche: sistemisti, addetti al web marketing, video maker ed esperti in social media.
Burocrazia e commercio online tra le ragioni della crisi
Secondo la Cgia di Mestre le ragioni della crisi dipendono da tre ordini di motivi: gli alti costi di gestione dell’attività e la burocrazia, il sopravvento del commercio online sulla vendita al dettaglio e la qualità/durata dei prodotti industriali in una logica usa e getta che non richiede più il supporto di alcune professioni artigiane. Per invertire la rotta la Cgia propone di ripensare la formazione lavoro e le opportunità di crescita e sviluppo dell’intero settore in un’ottica proiettata verso le innovazioni tecnologiche. Oltre ad una revisione strutturale dei mestieri, l’associazione degli artigiani propone l’adozione di sostegni mirati alle imprese ed ai lavoratori, come il reddito di gestione delle botteghe.