'Ndrangheta, la Dda di Reggio chiude le indagini sulle nuove leve del clan Tegano

La procura notifica sette avvisi. Indagati accusati a vario titolo di estorsione, resistenza a pubblico ufficiale e favoreggiamento. A tutti è stata contestata l'aggravante delle modalità mafiose

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20 maggio 2021
16:09

«Ti devi muovere». «Muoviti, che quando veniamo noi devi preparaci da bere e stare zitto». «Secondo me sei un pazzo a chiedermi lo scontrino». Sono alcune delle frasi pronunciate dai "teganini", i rampolli della cosca di 'ndrangheta dei Tegano di Archi nei confronti dei quali la procura di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri, ha chiuso le indagini. Le minacce erano rivolte al titolare del "Vesper", un locale di Reggio Calabria. Nel settembre 2018, i "teganini" avevano minacciato anche due poliziotti che avevano chiesto loro di identificarsi: «Vi pisciamo addosso… voi non sapete cu su i cristiani… ma chi c... siete».

E ancora: «Mi ricordo di te, tanto ci dobbiamo rivedere». Il sostituto procuratore della Dda Sara Amerio ha notificato l'avviso di conclusione indagini anche a sette indagati accusati, a vario titolo, di estorsione, resistenza a pubblico ufficiale e favoreggiamento. Tra gli indagati c'è pure Domenico Tegano, di 29 anni, attualmente detenuto nel carcere di Ancona e figlio del boss Pasquale Tegano. Gli altri sono Angelo Tegano, Antonio Cangemi, Antonio Domenico Drommi, Domenico Monorchio, Manuel Monorchio e Davide Vizzari. A tutti è stata contestata l'aggravante delle modalità mafiose. Non ha ricevuto l'avviso di garanzia, ma nell'inchiesta è indagato anche l'imprenditore Carmelo Crucitti, titolare di alcuni esercizi commerciali presi di mira nel 2017.


A causa di dichiarazioni omissive, l'accusa per lui è di aver reso false informazioni al pm e di favoreggiamento personali, tutti aggravati dalle finalità di agevolare la 'ndrangheta. Mentre a verbale Crucitti aveva, infatti, dichiarato che di non conoscere i "teganini" e di non sapere «nemmeno se siano reggini», fuori dalla sala interrogatori l'imprenditore aveva detto a un funzionario della questura: «Con le domande che mi state facendo, volete mettermi un cappio al collo. Io sono dalla parte dello Stato. Tra il rischio di perdere il lavoro e tutelare la mia famiglia, preferisco tutelare i miei figli. Io non posso mettere la firma sotto quei nomi. Quelli che mi avete fatto vedere li conosco tutti perché sono anni che li vedo in giro per i locali, fanno gli sbruffoni, chiedono cocktail, si comportano come se volessero affermare il loro potere. Ma perché devo dire che sono stati loro?».

 

 

 

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