San Ferdinando-Cernusco sul Naviglio e ritorno: un anno dopo nella Piana di Gioia Tauro compaiono i manifesti in ricordo di Antonio “Totò” Bellocco, ucciso il 4 settembre 2024 da Andrea Beretta. «Chi vive nel nostro cuore non muore mai, Totò vive», si legge negli annunci funebri con i quali si ricorda l’anniversario del delitto.

Questa sera è prevista una messa in suffragio a San Ferdinando, paese d’origine del 36enne legato all’omonima cosca di Rosarno, tornato libero dopo la scarcerazione e trasferitosi a Milano, dove era diventato uno dei punti di riferimento della Curva Nord interista.

Vertice di un triumvirato spezzato dagli affari e dalla lotta per guidare le lucrose attività che ruotavano intorno al tifo nerazzurro. Tre amici: Bellocco, Beretta e Marco Ferdico, ex calciatore dilettante con un passato nella squadra del Soriano e la fascinazione per la ’ndrangheta. È lui a portare a Milano Bellocco, lui a convincerlo a dare una mano a Beretta quando altri gruppi di ultrà vorrebbero prendere il comando dopo un altro omicidio eccellente, quello di Vittorio Boiocchi, ordinato – secondo la Dda di Milano – ancora da Beretta con l’aiuto di Ferdico e dei suoi compari calabresi.

Una scia di sangue e affari che unisce il profondo sud e la capitale lombarda. All’inizio, però, in quella mattina di settembre, il delitto pareva un regolamento di conti nel sottobosco del tifo criminale: l’incontro per chiarirsi, una pistola tirata fuori dalla fondina e undici coltellate. Ma il morto si chiama Bellocco e le antenne dei media si accendono.

Beretta confessa il delitto ai magistrati della Dda di Milano già il giorno successivo, spiegando come il delitto sia maturato all’interno del mondo del tifo organizzato e legato al controllo dei proventi illeciti che ruotavano intorno alla Curva Nord. Agli inquirenti lo racconta subito, poi nicchia ma decide presto di pentirsi e collaborare. In un drammatico colloquio in carcere spiega perché alla sua ex compagna (che lo invita a ripensarci): «Io devo uscire. Sono io il bersaglio. Se fanno fuori a me siete a posto! Ok? Se io sono qua dentro o cercano di farmi fuori qua dentro o cercano di fare del male a voi fuori… Ok? Io sono con le spalle al muro, capisci? Non ho vie d’uscita! Sono obbligato a fare questo percorso».

Le sue parole sono un viaggio nell’abisso di una Milano dove la malavita organizzata incontra i vip nel parcheggio della Scala del calcio, gli influencer si mescolano ai picchiatori, i narcotrafficanti come Luca Lucci ­– sul versante milanista della faccenda – vengono salutati come eroi quanto tornano sulle gradinate.

Si potrebbe dire che sia il cuore sociologico dell’inchiesta “Due curve”, condotta dalla Procura antimafia di Milano, che porta agli arresti e successivamente alla condanna in primo grado dei vertici ultras di Inter e Milan.

Tifo e soldi, potere economico e rispetto dei tifosi. I tre (quasi) amici hanno tutto ma tutto non è mai abbastanza. Ferdico e Antonio Bellocco vogliono estromettere Beretta, terzo componente del "direttivo", ed appropriarsi del merchandising della Curva Nord, fonte di reddito per lui con il negozio “We Are Milano” usato anche come copertura, secondo i pm. Puntano ad avviarne uno ex novo a Milano.

L’assassinio di Bellocco inizia in qualche modo il 23 luglio quando Berretta viene convocato a casa del calabrese, a Pioltello, e nei box incontra due emissari del clan, che gli avrebbero rivolto concrete intimidazioni.

La sua fine sarebbe già scritta: dovrebbe essere attirato in trappola, reso innocuo con un sonnifero e ucciso per poi simulare la sua fuga in Costa Azzurra: per far sparire il corpo sarebbe già stato acquistato tutto il necessario. Beretta però scopre il piano e gioca d’anticipo: si arriva così a quel 4 settembre. Che mette fine alla vita di Totò Bellocco e all’idea di aprire con Ferdico quel negozio di merchandising: «Vi comunico che ci troviamo costretti a dover annullare con decorrenza immediata la proposta, poiché uno dei soci è venuto a mancare», dice Ferdico, intercettato il giorno dopo, parlando con un broker immobiliare. Si riferisce proprio a quel negozio in cui con l'amico di Rosarno avrebbe voluto trasferire la vendita di gadget e maglie.

Dopo la morte di Bellocco si apre una finestra sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle curve calcistiche, rivelando come i clan abbiano utilizzato il tifo organizzato per controllare flussi economici enormi: biglietti, merchandising, sicurezza negli stadi, fino al racket delle trasferte. Le dichiarazioni di Beretta e le indagini confermano i tentativi di stabilire un legame organico tra gruppi vicini alla ’ndrangheta e l’ambiente degli ultrà, mostrando come la Curva Nord fosse diventata uno snodo di interessi criminali.

La famiglia Bellocco si è costituita parte civile nel processo, chiedendo giustizia per la morte del congiunto. Ma la sentenza di giugno 2025 ha sollevato polemiche: il giudice ha riconosciuto un risarcimento provvisionale di 520mila euro, ma ha condannato Beretta a soli dieci anni di carcere. Una pena inadeguata, secondo la famiglia, che chiederà in Appello una punizione più severa. Oggi “Totò” sarà ricordato con una messa a San Ferdinando.