Arresti nel Crotonese, Capomolla: «Così a Cutro la ’ndrangheta cercava di riprendere il potere dopo la collaborazione (fallita) del boss Grande Aracri»
VIDEO | Conferenza stampa del procuratore di Catanzaro per illustrare i dettagli dell'operazione che ha portato a 31 misure cautelari. Estorsione e traffico di droga tra le accuse contestate
«L'odierna attività investigativa documenta la riattivazione dell'associazione di 'ndrangheta riconducibile alla cosca Grande Aracri, dopo il vuoto di potere determinato dalla collaborazione del boss, poi fallita». Così il procuratore facenti funzioni di Catanzaro Vincenzo Capomolla illustra i dettagli dell'operazione scattata questa mattina tra Crotone e la città capoluogo che ha portato a 31 misure cautelari.
Il blitz | ’Ndrangheta, arresti nel Crotonese: 31 misure cautelari per usura, estorsione e droga - NOMI
Secondo quanto riferito nel corso della conferenza stampa, a prendere le redini delle attività sarebbe stato Martino Vito, attualmente detenuto in carcere ma ritenuto vicino a Nicolino Grande Aracri che avrebbe fornito indicazioni ai sodali sul territorio volto alla riattivazione delle attività a Cutro. «Nelle investigazioni sono emersi anche contatti con esponenti di territori vicini a Cutro per ottenere il placet alla ripresa delle attività. Registrati tentativi di riappacificazione con esponenti del clan Dragone. Le attività rivolte prevalentemente alle estorsioni nei confronti di imprenditori e traffico di sostanze stupefacenti per finanziare la cosca».
Tra le accuse contestate anche traffico di droga con lo stupefacente che proveniva da Cosenza e Catanzaro. Rinvenute anche diverse armi che indicherebbe - come sottolineato dagli investigatori - la volontà dell'associazione di riorganizzarsi sul territorio. Gli inquirenti hanno parlato anche di almeno sette estorsioni accertate, sei delle quali consumate con la consegna del denaro. Nessuna denuncia è stata però formalizzata da parte degli imprenditori presenti sul territorio.
L'indagine
Complessivamente 31 le misure cautelari (per 15 delle quali è stata emessa la custodia in carcere, per 7 gli arresti domiciliari e per 9 l’obbligo di dimora). Tra i reati contestati, a vario titolo, associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, usura, danneggiamento, associazione per delinquere, finalizzata alla commissione di reati in materia di stupefacenti, nonché per numerosi reati in materia d’armi, di sostanze esplodenti e di stupefacenti.
Le indagini sono state avviate nell’ottobre del 2020 dalla Sezione operativa del Nucleo operativo e Radiomobile della Compagnia di Crotone, a seguito di un episodio estorsivo ai danni di un imprenditore cutrese, che sarebbe stato attuato da tre degli odierni indagati.
L’attività avrebbe documentato le dinamiche del locale di ‘ndrangheta di Cutro dopo l’arresto del boss egemone Nicolino Grande Aracri e il suo successivo tentativo di collaborazione, poi venuto meno per acclarata inattendibilità. Evidenziata la presenza della famiglia Martino, già collegata a Grande Aracri facente capo al detenuto Vito, composta principalmente dalla moglie e dai due figli, che sarebbero stati attivi sul territorio di Cutro in contrapposizione ai Ciampà- Dragone, che avrebbe invece cercato di affermarsi sempre più come famiglia di ‘ndrangheta autonoma.
L’indagine ha costituito di fatto la naturale prosecuzione delle attività sfociate nelle operazioni Kyterion ed Aemilia, in essa hanno trovato, inoltre, riscontro le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Giuseppe Liperoti, Salvatore Muto, Angelo Salvatore Cortese, Antonio Valerio e Gaetano Aloe.
Sarebbe stata inoltre documentata l'esistenza di una “bacinella”, finanziata anche tramite lo spaccio e lo smercio, in forma associativa, d’ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, sulla direttrice Cutro - Cosenza - Catanzaro - e, soprattutto, in quest’ultimo capoluogo, per il sostegno economico di affiliati e famiglie dei detenuti.
Sarebbe emerso anche l’episodio di danneggiamento delle auto di componenti di spicco della famiglia Martino, avvenuto con l’avallo del presunto boss Domenico Mico Megna, significativo per interpretare i rapporti tra le varie cosche della provincia e l’evoluzione dei rapporti di forza tra le stesse.