«Curdi “capatosta” come i calabresi», l’abbraccio della comunità di Badolato

VIDEO | Risale al Natale del 1997 lo sbarco di 800 profughi che scappavano dalle persecuzioni. Nel suggestivo borgo catanzarese ne sono rimasti pochi ma il paese esprime profonda vicinanza a un popolo che oggi subisce l’ennesima repressione in Siria

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di Rossella  Galati
22 ottobre 2019
13:42

Aveva 22 anni Selim quando la nave da carico battente bandiera curda Aarat, partita da un piccolo porto della Turchia, dopo un viaggio di 6 giorni, lo condusse sulla costa ionica catanzarese, nelle acque tra Santa Caterina e Badolato. Erano 826 persone, per lo più curdi, in fuga dalla guerra e dalla miseria. Da quel lontano 26 dicembre 1997, una data che segna sicuramente l’inizio dell’epoca degli sbarchi, sono ormai pochi i curdi rimasti nel suggestivo borgo che, ancora prima di Riace, aprì le porte a uomini, donne, bambini in cerca di futuro. «Quando sono arrivato qui a Badolato – racconta Selim – ero solo, sono partito senza la mia famiglia. Poi, con il trascorrere del tempo, i miei amici sono andati via. Chi a Roma, a Milano, a Torino. Adesso sono rimaste solo tre o quattro famiglie curde che lavorano nell’edilizia o nell’agricoltura».

Badolato e i curdi

«Noi badolatesi sentiamo un forte legame con i curdi – spiega Daniela Trapasso, assessore alle politiche sociali e istruzione del Comune guidato dal sindaco Gerardo Mannello, ed ex operatrice del Consiglio italiano per i rifugiati -. Abbiamo vissuto con loro esperienze forti. E senza sapere nemmeno chi fossero li abbiamo accolti. Li abbiamo trovati non molto dissimili da noi, come cultura, come tradizioni. Anche come testardaggine siamo uguali. Noi ci ritrovavamo in loro e loro si ritrovano ancora oggi in noi. Sono ormai poche le famiglie curde che vivono qui ma con molti di quelli che sono  andati via siamo tutt’oggi in contatto. Mi raccontano quello che fanno, rimpiangono Badolato e accade spesso che alcuni tornino per le vacanze». 


 

Ma prima ancora dello sbarco dell’Ararat, Badolato aveva già vissuto uno sbarco di circa 450 migranti nel mese di agosto dello stesso anno. Un’esperienza che aveva scosso una intera comunità e che si è ripresentata ancora più forte nel mese di dicembre: «Abbiamo visto donne, bambini, anziani, gente malata, abbiamo visto l’umanità che si riversava a casa nostra e chiedeva aiuto – ricorda l’assessore -. Ed è vero, Badolato è stato il primo esempio di apertura, senza riserve, non solo dei cuori ma anche delle case. Se vogliamo l’embrione di quello che poi sarebbe diventato il Pna, Programma nazionale asilo, e poi lo Sprar, Servizio protezione richiedenti asilo e rifugiati.


Dopo Badolato anche Riace che per noi è veramente un simbolo. E se vogliamo la vittoria, dal 1997 ad oggi, sta nel fatto che quando siamo partiti eravamo soli, adesso ci sono circa 148 Sprar. E nonostante qualcuno abbia cercato di dargli la botta decisiva, resistiamo ancora e vediamo che ne sarà». Ed è un legame, quello tra Badolato e il popolo curdo, che va oltre la vita. Nel cimitero del paese infatti riposano due bambini curdi. Uno morto per disidratazione, dopo una settimana in rianimazione, arrivato nel corso di uno sbarco a Locri. L’altro arrivato in Italia senza vita. «Ci sono anche due ragazzi etiopi e altre due salme di cui non conosciamo l’identità che la Prefettura ci ha chiesto di ospitare dopo uno sbarco andato a finire male a causa di un naufragio - racconta Daniela Trapasso -. Non sappiamo i nomi, abbiamo solo dei numeri ma per noi sono due persone che rappresentano la sconfitta dell’umanità».

L'abbraccio al popolo curdo

Ed è da quello stesso borgo, simbolo di accoglienza e integrazione, dove i bambini giocano insieme e la diversità è diventata opportunità, che, in un clima di indifferenza generale della politica calabrese, sale la preoccupazione per gli attacchi turchi iniziati il 9 ottobre scorso, voluti dal premier Erdogan, subiti dal popolo curdo in Siria. Un popolo che è stato determinante nella lotta contro l’Isis, che sogna l’autonomia, ma che si sente profondamente tradito dal mondo occidentale. «La guerra non mi piace – dice Salim – la vorrei fermare. Stanno pagando con la loro vita tanti bambini, donne, giovani».

 

«Noi siamo contro tutti i tipi di guerra come risoluzione delle controversie internazionali. D’altronde lo dice anche l’articolo 11 della nostra Costituzione. Non possiamo che bocciare la politica di Erdogan – aggiunge l’assessore Trapasso mentre alle sue spalle sventola la bandiera della pace – e chiediamo che si formi veramente un tavolo internazionale per definire una volta per tutte la questione del popolo curdo. Un popolo che, non dimentichiamo, anche l’Italia ha contribuito a sfaldare, a disperdere per il mondo perché quando nel 1923 fu firmato il Trattato di Losanna, l’Italia era tra i firmatari. E quindi abbiamo la responsabilità anche noi». 

 

«Il popolo curdo è un popolo fiero che nel corso degli anni non ha esitato a combattere in prima linea al fianco di Paesi che, puntualmente, non hanno esitato a tradirlo e rinnegarlo - per il sindaco di Badolato Gerardo Mannello -. Sappiamo che il nostro appello è una goccia nel mare ma non possiamo fare a meno di esprimere tutta la nostra solidarietà alle donne, ai bambini ed agli uomini curdi attualmente sotto attacco».

 

«Chi ci deve aiutare lo faccia. Non resti fermo a guardare la gente morire – commenta Zubeyer -. Guardare non serve, bisogna dare una mano prima che muoiano tante persone, donne, bambini». Zubeyer stringe tra le mani il figlio mentre chiede giustizia per i suoi fratelli curdi. È arrivato a Badolato nel 2008, è qui che ha messo su famiglia ed è qui che sono nati i suoi 4 figli. L’ultimo lo ha chiamato Libero. Perché questo nome? Gli chiediamo. «Perché in Turchia le persone non sono libere. Io ho fatto nascere mio figlio qui in Italia perché fosse libero».

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