Coronavirus, tamponi a tappeto anche nelle case di riposo: «Ma come?»

L’ordinanza regionale che prevede controlli più estesi affida lo screening alle direzioni sanitarie che però in molte strutture non sono previste. L’allarme di una cooperativa sociale

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28 marzo 2020
12:13

Si fa presto a dire “tamponi per tutti”. «Vorrei che la Regione spiegasse a me, e ai tanti operatori, responsabili e ospiti delle strutture a carattere socio-assistenziali in che modo bisognerebbe fare lo screening per il Covid 19». A porre l’interrogativo è Rosario Bressi, presidente della cooperativa sociale Il Lampadiere, che gestisce una comunità-alloggio per anziani a Zagarise, in provincia di Catanzaro.

 


Bressi, che nei giorni scorsi aveva sollecitato con una lettera aperta proprio l’estensione dei controlli anche alle case di riposo, esprime ora perplessità sul contenuto dell’ordinanza numero 20 del 27 marzo, con cui la presidente della Regione Jole Santelli ha disposto controlli a tappeto per gli operatori sanitari e socio assistenziali.

 

«Leggendo l’ordinanza - si legge nella nota di Bressi -, la prima sensazione è stata di leggero sollievo, perché ho creduto che l’attenzione verso gli operatori, gli ospiti e i responsabili delle realtà che si occupano di anziani in modo residenziale, fosse stato in qualche modo soddisfatta. Purtroppo, dopo una lettura più attenta, ho riscontrato che le aspettative sono andate deluse e la stessa ordinanza presenta, quantomeno, delle lacune».
In particolare, viene sottolineato il contenuto dell’articolo 2 del provvedimento, dove si precisa che «l’attività di screening presso le strutture residenziali (RSA, RSM, Case protette, Case di riposo, etc…) dovrà essere eseguita a cura delle Direzioni Sanitarie di dette strutture». Direzioni sanitarie che – spiega Bressi – non ci sono nelle strutture che erogano servizi meramente socio-assistenziali.

 

«Immagino non sia sfuggito a nessuno come nell’ordinanza ci sia un preciso e circostanziato invito alle strutture di fare da sé tramite la propria Direzione Sanitaria. Tuttavia, nelle strutture socio-assistenziali, come è noto, non ci sono, e non ci possono essere, direzioni sanitarie poiché le stesse strutture erogano servizi di natura assistenziale e non sanitaria. A questo punto, va da sé, che tali strutture non sanno come muoversi e non sanno a chi rivolgersi per effettuare gli screening su operatori e ospiti».


Un problema di non poco conto, che merita dunque un chiarimento da parte della Regione.
«Spero vivamente di sbagliarmi – conclude la nota – ma resta il fatto che, sebbene mossi dalle migliori intenzioni, chi ha concepito il provvedimento ha, quantomeno, dimenticato di specificare in che modo le strutture non sanitarie, ma a carattere socio-asssitenziale, debbano effettuare gli screening. Inoltre, mi sento di ribadire che ci sono strutture che ancora hanno difficoltà a reperire i cosiddetti presidi di sicurezza (mascherine, guanti, camici, igienizzanti) per fornirli ai lavoratori che sono impiegati nelle strutture. Passi pure il fatto che in una ordinanza così importante alcune categorie di strutture di assistenza per anziani vengono relegate nella categoria “eccetera eccetera”, ma, sinceramente, che nella stessa ordinanza non vi sia spiegato in che modo debbano essere effettuati gli screening, francamente, è bizzarro. Non abbiamo mascherine e guanti, perché introvabili, ma abbiamo dignità e a passione da vendere. Ne prendano atto tutti. A partire da chi ha scritto un’ordinanza monca è lacunosa».

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