Il caso

Catanzaro, affetto da Sla e “prigioniero” in casa: «Chiedo solo un ascensore per vivere con dignità»

VIDEO | Un 63enne è costretto a rimanere chiuso al quarto piano di una palazzina popolare, poichè l'immobile non ha un impianto di sollevamento. Oreste però è deciso a portare avanti una battaglia di civiltà: «Chiedo solo di poter vivere una vita normale»

 

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di Rossella  Galati
7 marzo 2022
22:15

Si definisce prigioniero della burocrazia Oreste Tafuri. Da un anno e due mesi ormai costretto a rimanere chiuso al quarto piano di una palazzina popolare di Catanzaro seduto su una carrozzina con la sua malattia, la Sla, sclerosi laterale amiotrofica. Quello che chiede da tempo è semplicemente un ascensore che gli consenta di poter vivere la sua libertà, richiesta formalmente presentata agli uffici comunali ma senza alcun risultato.

Questo ex pasticcere di 63 anni è vittima dunque di un rimpallo di responsabilità tra Asp e Comune ormai non più tollerabile: «Io sono stato condannato ad rimanere chiuso in casa da loro e non dalla malattia – dice –. La malattia è invalidante progressiva. Questo significa che quando io ho fatto la mia richiesta non ero nelle condizioni in cui sono adesso, riuscivo ancora a camminare con l'aiuto delle stampelle, e l'espletamento della mia richiesta nei tempi dovuti mi avrebbe potuto portare anche ad uscire da casa in modo un po' più spensierato».


La forza di Oreste

Dopo un primo sopralluogo da parte del Comune e i lavori di adeguamento del bagno richiesti, nulla si è più mosso ed ora Oreste, che non sarebbe in grado di sopportare privatamente le spese, è deciso a portare avanti una battaglia di civiltà: «Io penso anche alle persone che non hanno il mio coraggio nell'affrontare la malattia, quelle persone che non hanno la voce oppure a coloro che sono morti di depressione perchè non sono stati ascoltati nel momento in cui dovevano essere ascoltati. Io non voglio che si continui a perpetrare questi omicidi da parte dei colletti bianchi. È una battaglia che io voglio portare avanti per tutti anche se devo arrivare nelle aule di un tribunale».

Dunque tanta è l'amarezza ma anche la voglia di continuare a vivere con dignità: «Com'è possibile che si possa trattare una persona in questo modo – si domanda Oreste -. Per me la vita è bella ed è bella fino alla fine, fino all'ultimo giorno e io non consento a nessuno di togliermi il sorriso».

Giornalista
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