Corap specchio di una Calabria stuprata dal potere e dalle clientele

L’ex dirigente dell’Area di sviluppo industriale di Cosenza punta il dito contro la politica che avrebbe scientemente depredato e distrutto le Asi poi accorpate nel consorzio regionale

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18 luglio 2019
15:40

di Stefania Frasca *
In relazione all’articolo “I debiti di Reggio hanno affondato il Corap. Il Consorzio regionale era destinato a fallire”, pur condividendo il tenore generale dello stesso, riteniamo necessario fare alcune precisazioni.
È errato sostenere che l’Area Industriale della città pitagorica fosse l’unica in attivo di tutta la Calabria, perché lo erano, prima che la Regione le commissariasse, anche Cosenza, Catanzaro e Vibo. È profondamente sbagliato sostenere che Cosenza non corrispondesse retribuzioni e contributi, così come risulta ingiusto additare quella reggina come l’Asi che ha trascinato le altre in un baratro di debiti.
Infatti, laddove si volesse ricercare la verità, dopo ben sei anni di commissariamento, bisognerebbe partire dai dati approvati prima che l’ente regionale si imponesse quale padre e padrone delle Asi: ovvero dai documenti contabili datati 2012 o anche dalle variazioni registrate circa le proprietà immobiliari consortili e, nondimeno, dalla qualità e quantità delle attività portate avanti e concluse con successo.
E, a proposito di Reggio e Cosenza, ripetutamente additate come le Asi neglette della Calabria così come vuole qualche dirigente regionale, è utile rimarcare che, su decisione del primo dei commissari, l’unico nominato da Scopelliti all’alba dell’agosto 2013, i bilanci di queste ultime furono sottoposti a verifica da parte di una primaria società di revisione. Si tratta pertanto di bilanci esaminati e vagliati da professionisti esperti, formati ed allenati a tale tipo di attività.

 


Delinquenti in giacca e cravatta

Non si comprende, quindi, perché, nel dare giudizi sullo stato ex ante delle Asi, si prendano a riferimento i bilanci 2016 se è vero, come è vero, che a quella data i commissari regionali avevano assunto già da tre anni i poteri prima detenuti dai presidenti e dai comitati direttivi, sui quali la legge fa gravare, fra l’altro, le competenze relativi ai bilanci.
In verità, al di là di date e numeri, le giunte che si sono succedute al governo della Regione dal varo della legge di accorpamento in poi, hanno spinto, sollecitate a ció da quel grumo di poteri occulti che dirigono la Calabria, verso l’attuazione di una legge chiaramente diretta, non all’accorpamento, ma alla distruzione delle Asi. Una distruzione perseguita con malevola caparbietà da quei settori regionali che, piuttosto che essere lasciati indisturbati a erodere la cosa pubblica - perché questo fanno! -, andrebbero trasferiti di peso in qualche cella del carcere di Siano: delinquenti in giacca e cravatta che - guarda il caso! - perpetuano il loro potere qualunque sia la compagine politica che guida la Calabria.

 

Piani regionali usati come atti ritorsivi

Senza tacere sul fatto che, ben prima dell’approvazione della l.r. 24/2013, le Asi - ed in specie quella di Cosenza- erano già state destinatarie di una serie di atti ritorsivi il cui culmine coincise con il definanziamento del Piano regionale per le infrastrutture produttive, destinato a colmare il gap infrastrutturale accumulatosi in decenni di malgoverno degli agglomerati industriali. Infatti, in Calabria può succedere che, a valle di una serie di atti approvati dal Consiglio regionale, la Giunta deliberi il finanziamento di un vasto programmi di interventi (B.U. Calabria, parti I e II, n. 7 del 16 aprile 2010, pag. 21915) e un Dipartimento si adoperi per disattendere le volontà giuntali. Così come può accadere che l’Asi di Reggio venga privata di un depuratore che - da solo - avrebbe potuto fruttare risorse finanziarie bastevoli al mantenimento di tutte le Asi calabresi, per concederlo ad una società privata che, non solo lucra su una pubblica infrastruttura, ma alimenta il sistema ‘ndranghetistico che soffoca da sempre il nostro territorio.

 

Miserabili appetiti

Tutti fatti, questi e molti altri, noti ai più e puntualmente segnalati a quanti avrebbero avuto il potere nonché il dovere di porre fine allo stillicidio che ha soffocato le Asi, spogliandole con costante determinazione del ruolo - e quindi delle ricchezze - pensato oltre mezzo secolo fa dai legislatori nazionali.
Quelle che si portano avanti, in sostanza, sono analisi parziali perché non guardano al crescendo degli avvenimenti così come sarebbe utile fare. Perché la vera storia delle Asi è, in realtà, la storia della Calabria; intrisa di noncuranza, di ignoranza, di miserabili appetiti. È la storia di una regione il cui sviluppo, atteso da decenni, è una speranza sempre più fievole. È una regione che lascia che ci additino - e non senza motivi - come un popolo di inetti, sottoposti al pubblico ludibrio, violentati nelle aspettative e mortificati nell’intelligenza.

 

Si sapeva che l'accorpamento non avrebbe funzionato 

I cassetti della Presidenza e del cosiddetto “dipartimento di riferimento” sono pieni di puntuali relazioni sulle insidie prospettate dalla legge sull’accorpamento di cui ben si conoscevano gli autori: quella legge altro non è che il capolavoro di persone note, il cui compito ben si comprende essendo teso unicamente alla protezione degli interessi inconfessabili dei nostri veri padroni. È un sistema feudale, incancrenito, di cui si scorgono gli effetti in un territorio martoriato. Quegli stessi che tutti - o quasi tutti - fingiamo di non vedere.
L’allora vice Presidente Viscomi, uomo di legge, ora deputato della Repubblica, si dichiarò impotente rispetto alle analisi rigorose che gli venivano sottoposte e lasciò che l’attuazione della legge fosse anche peggiore di quella maligna architettura di norme raffazzonate.

 

All'Asi di Reggio hanno mozzato la testa

Oggi ci venite a dire che Reggio Calabria ha affossato le Asi senza chiedervi quale travaglio abbia subito, di quali violenze sia stata fatta vittima, di quali ingenti risorse è stata privata e del perché. Reggio, al pari delle consorelle, ha tentato di alzare la testa e gliel’hanno mozzata. Quella testa - e le altre- sono state sostituite da un nugolo di commissari per caso che, senza nulla sapere di sviluppo industriale, di fattori di agglomerazione, di una intricata trama di leggi nazionali e regionali, altro non hanno fatto che rimanere immobili - nel migliore dei casi - o fare del Corap una succursale della Regione: buona per quelle piccole e grandi clientele che alimentano i mille rigagnoli di cui si ciba il poterucolo politico locale; lasciando, quel che è più grave, che il patrimonio delle Asi cadesse definitivamente nelle bramose mani degli ispiratori dell’accorpamento, i veri autori di quel disegno distruttivo. Si tratta di un patrimonio stimabile in centinaia di milioni di euro: non si tratta di noccioline come si vorrebbe far pensare; si tratta di terreni e infrastrutture pubbliche che hanno fatto e fanno gola a quella gentaglia che, giorno dopo giorno, gozzoviglia alla nostra tavola.

 

Clientele e interessi

I regionali, che, dati alla mano, fatta qualche sparuta eccezione, certo non brillano per progettualità e fattività, mirando unicamente alla conservazione delle loro comode postazioni perlopiù guadagnate senza mai affrontare un pubblico concorso, non hanno pensato a nuovi compiti da affidare alle ex Asi (ma quanti se ne sarebbero potuti individuare in una regione in coda a qualsivolglia classifica?) per affiancarli a quelli tradizionali; non hanno ritenuto di proporre le necessarie modifiche alla l.r. 24/2013; non hanno avanzato proposte all’indirizzo di chi li aveva nominati. Si sono limitati ad affidare incarichi, a nominare consulenti, a commissionare servizi, a svendere terreni, a sottoscrivere atti transattivi (nei quali sarebbe assai semplice scorgere la firma di qualche burattinaio). Non hanno dedicato il tempo necessario a seguire il gravoso contenzioso che pesa da decenni sulle spalle delle Asi - e prima tenuto sotto costante controllo - né hanno sottratto terreni dalle mani di decine di detentori privi di qualsivoglia titolo né hanno recuperato un solo euro dei folti crediti avanzati dalle ex Asi (men che meno quelli dovuti dalla Regione). Tutte attività difficili da portare avanti, noiose e certamente - ce lo dice la cronaca degli ultimi anni - non scevre da insidie e pericoli.

 

Sei lunghi anni trascorsi invano

Questo ed altro ancora avrebbe sfiancato, non le fragili Asi, ma ben altri enti; finanche quelli che godono del pubblico foraggio. I regionali hanno lasciato trascorrere colpevolmente sei lunghi anni durante i quali non era impossibile - e forse neanche tanto difficile - salvare il Corap; facendone una fucina di idee, progetti e proposte a favore dell’indebolito - e, talvolta, eroico - comparto produttivo calabrese.
Le responsabilità delle ex Asi? Il silenzio di dirigenti e dipendenti nell’assurda convinzione che l’abbraccio mortale della Regione potesse essere qualcosa di diverso da quel che effettivamente è stato.

 

I sindacati sbagliano strada

I sindacati fanno quel che si può fare in un territorio inerte, privo di positive sollecitazioni; ma probabilmente sbagliano strada. Il Corap è forse morto e defunto, ma potrebbe essere ancora utile laddove venisse preso ad esempio per comprendere fino in fondo di che cosa è capace quel tracotante sistema nel sistema che ci sovrasta tutti. Chiedano i sindacati al Presidente Oliverio - per un decennio autorevole membro della compagine assembleare dell’Asi cosentina - l’istituzione di un gruppo di valenti tecnici e giuristi (la Calabria ne è piena) che analizzi, colleghi, metta in luce e - forse - da lì arriverà la soluzione. Il nostro è da tempo un territorio in cui - sarebbe necessario farsene una ragione - gli strumenti normalmente messi a disposizione da un regime democratico non bastano e non possono bastare più. Ci vogliono coraggio e menti così taglienti da capire, così come qualcuno finalmente comincia a fare, che in Calabria nulla è così come appare. Pitagora compreso.

*ex dirigente dell’Asi di Cosenza

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