Tornato da Milano dopo due giorni al San Raffaele ha saputo che nell'ospedale milanese era ricoverato un paziente per sospetto coronavirus. Dopo 108 telefonate, al Pugliese-Ciaccio gli hanno detto che senza sintomi non si possono fare controlli sanitari
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Antonio, così chiameremo il protagonista di questa storia, alza le braccia al cielo: «Come si potrà fronteggiare l'emergenza Coronavirus in Calabria se non c'è neppure chi risponde alle telefonate?».
Antonio Tè tornato da Milano qualche giorno fa e proprio qualche secondo dopo aver poggiato i bagagli in soggiorno, ha scoperto alla tv che all'ospedale San Raffaele, dove lui era rimasto per due giorni, era ricoverato un paziente per sospetto contagio del virus Covid-19.
E negli stessi istanti ha scoperto che la Lombardia, che lui precedentemente aveva percorso in lungo e in largo a bordo dei mezzi pubblici, è stata la prima regione italiana a far registrare la presenza dell'ospite sgradito.
Così, Antonio e sua moglie, increduli e spaventati, hanno cominciato a chiamare parenti e medici, i quali, all'unisono, hanno consigliato di comporre il 1500, numero nazionale del Ministero della Salute al quale rivolgersi per segnalare presunti casi di contagio.
Ma Antonio, già provato dal viaggio e dalla notizia, ha dovuto attendere qualche ora e 108 telefonate prima di avere risposta. «È stato un inferno - ha detto scuotendo la testa -, eravamo disperati e non sapevamo cosa fare».
Linee intasate dal panico
Per tutto il giorno, Antonio e consorte, tre giorni fa hanno provato a chiedere aiuto. «Volevamo capire come comportarci e sottoporci all'esame del tampone - ha spiegato - ma la linea era sempre occupata, oppure rispondeva una voce guida che ci diceva di richiamare più tardi».
Ciò a causa del numero elevato di chiamate. Le linee, infatti, sono state prese d'assalto dai cittadini che pur non avendo sintomi del contagio e non avendo alcuna necessità, hanno chiamato ai numeri diffusi dal Ministero per chiedere informazioni. Ma così facendo chi ha davvero bisogno di comunicare la propria situazione, è costretto a tempi di attesa biblici.
Attesa inutile
Quando è quasi sera, Antonio riesce finalmente a parlare con un operatore incaricato dal Ministero della Salute, ma questi gli comunica che deve rivolgersi al reparto di Malattie Infettive dell'ospedale Pugliese-Ciaccio. E ricomincia l'odissea delle telefonate, ma qui per fortuna sono molte meno. Peccato solo che quando Antonio è riuscito a contattare il nosocomio catanzarese, gli operatori hanno risposto che in assenza di febbre non si possono effettuare i controlli sanitari.
E in caso di malattia?
Antonio è stanco e arrabbiato. «La Calabria non è pronta a fronteggiare l'emergenza, punto». La moglie prova a calmarlo e gli fa notare che sono disposizioni ministeriali e che forse è giusto così, ma lui la incalza: «E se fossi una persona malata e con una patologia pregressa? Dovrei quindi aspettare di avere prima i sintomi del Coronavirus per curarmi, quando sarebbe già troppo tardi?».
In quarantena volontaria
Antonio è spaventato, tanto. Più di sua moglie. Teme che il contatto con le persone incontrate in metro e in autobus a Milano lo abbiano infettato. Tiene il termometro sul tavolo davanti a sé, a portata di mano, e di tanto in tanto misura la temperatura. Ai parenti che sono venuti a trovarlo, ha raccomandato di stare almeno a due metri di distanza e di evitare ogni forma di contatto. Niente strette di mano e niente abbracci. E, per atto di responsabilità, ha deciso di prendersi una pausa dal lavoro e di starsene in isolamento per almeno 15. Fino a che il pericolo sarà scampato.