Cosenza, parla la moglie del medico suicida: «Vittima indiretta del Covid, morto sul lavoro»

VIDEO | Drammatica testimonianza di Simona Loizzo al programma tv Non è l'Arena in onda su La7, pochi giorni dopo la tragica scomparsa di Lucio Marrocco, responsabile della sicurezza e della campagna vaccinazioni dell'Annunziata: «Responsabilità insostenibili. Come un soldato mandato in guerra senza armi»

di Salvatore Bruno
10 gennaio 2021
23:43

«Mio marito è una vittima del lavoro. La sua è stata una morte bianca». Con la voce rotta dall’emozione, ma con grande dignità, Simona Loizzo racconta il decesso del marito, Lucio Marrocco, in diretta tv a Non è l’Arena, la trasmissione de La 7 condotta da Massimo Giletti.

Tragico gesto

Dirigente medico dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza, in prima linea per garantire la sicurezza dei reparti durante la pandemia e coordinatore delle operazioni di vaccinazione contro il Covid, Lucio Marrocco la sera del 7 gennaio si è gettato nel vuoto dal balcone di casa. Aveva 56 anni.


Enorme carico di responsabilità

«Fin dall’inizio della pandemia si è caricato della responsabilità di proteggere tutto il personale operante in corsia. Parliamo di circa duemila persone». Anche Simona Loizzo è un medico alle dipendenze dell’AO bruzia, con funzioni dirigenziali. E conosce bene le criticità dell’Hub dell’Annunziata: «Sono stata assunta ne 1994 e già si parlava della costruzione del nuovo ospedale. Ci siamo lasciati alle spalle il 2020 e ancora non è cambiato nulla. Mio marito si è trovato a gestire una pandemia in un ospedale vecchio, con difficoltà nel mettere a punto il percorso sporco/pulito, di separare quello Covid dal no-Covid. E lui era bravissimo – incalza - ha scritto procedure che il Ministro Speranza dovrebbe leggere, finite sulle chat delle direzioni sanitarie di mezza Italia».

Orari massacranti

«Non era soltanto responsabile delle vaccinazioni – ricorda Simona Loizzo – era a capo della struttura complessa di sorveglianza sanitaria del presidio. Dall’inizio dell’epidemia ha eseguito diecimila tamponi. Ci sono stati pochissimi dipendenti contagiati. Ma ognuno di quei casi lo viveva drammaticamente. La sera li chiamava al telefono singolarmente, per accertarsi delle loro condizioni dopo 15-16 ore di lavoro in reparto. uno stress insostenibile».

Il decesso di una Oss

La scelta di togliersi la vita è maturata proprio nello stesso giorno in cui una Oss che aveva contratto il coronavirus nel nosocomio è deceduta, prima vittima tra i dipendenti dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza. «Quando le condizioni dell’operatrice socio-sanitarie si erano aggravate lui è andato in tilt – ha detto poi Simona Loizzo - Non era una sua responsabilità, ma non essere riuscito ad evitare quel contagio lo aveva turbato, lo aveva fatto impazzire. Quella sera – ricorda la donna - la mail aziendale era in revisione, non funzionava e lui non riusciva a mandare i dati delle vaccinazioni alla Regione».

L'ultima telefonata

«Lo sentii discutere al telefono con un suo collaboratore, uno dei pochi perché con i commissariamenti si è tagliato il personale, si è persa una generazione. A questo collaboratore che che lui stimava, diceva “Ma si può? Non ce la posso fare, non ce la faccio più”. Dopo pochi minuti era volato giù come un operaio che cade dall’impalcatura senza imbracatura. Un soldato mandato alla guerra senza armi».

Appello al Governo

Poi l’appello alle istituzioni: «Sulle scelte della sanità la politica deve metterci la faccia e non nascondersi dietro il commissariamento. Abbiamo avuto anche commissari preparati, ma negli ultimi dieci anni i Livelli Essenziali di Assistenza sono precipitati ed il debito è andato fuori controllo. Per questo la gestione della sanità deve essere affidata al presidente della Regione eletto dai cittadini, qualsiasi sia l’espressione di voto».

Giornalista
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