Cosenza, riconvertire l’ospedale militare è inutile: «Pochi rianimatori, non serve per l’emergenza»

Nato come presidio destinato ai pazienti Covid e poi trasformato in centro vaccinale, la struttura mobile dell’Esercito è al centro di un balletto istituzionale. Il sindaco Occhiuto: «Non può ospitare malati gravi, per gli altri i posti all’Annunziata ci sono» (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Alessia Principe
9 aprile 2021
09:39
L’ospedale militare a Cosenza
L’ospedale militare a Cosenza

C’è una sola domanda che a Cosenza e dintorni non fa che correre di bocca in bocca, almeno da quando la situazione dei contagi è sfuggita di mano. Ed è una domanda che riguarda l’ospedale militare, la tensostruttura montata a dicembre a Vaglio Lise, accanto alla stazione dei treni. Perché l’ospedale, ora che c’è bisogno, non torna a ospitare pazienti? Ma ce n’è un’altra forse più appropriata: è un ospedale per le emergenze? È per questo che è stato allestito?La risposta è no e lo sapevamo dall'inizio.

Arriva l’Esercito

Per cercare di capire meglio occorre fare un piccolo saltello all’indietro. L’ospedale è arrivato a Cosenza, in una zona centrale e libera, facilmente raggiungibile, con qualche ritardo, a cavallo tra novembre e dicembre. Siamo in piena seconda ondata, quella temuta dall’inizio dell’autunno. Sale il numero degli ammalati, l’Annunziata scricchiola sotto il peso dell’emergenza, ma tiene. Eppure la paura che tutto possa precipitare e si verifichi quell’ipotesi che da un anno è un venticello profetico («se accadesse in Calabria, sarebbe la fine…»), è talmente tanta che si ricorre a una soluzione tampone estrema: montare un campo militare in cui trasferire gli ammalati Covid. Passa dunque il messaggio che serve un posto per far fronte all’emergenza. Ma non è proprio così.


Un’equipe in piena regola

Quaranta posti letti, un laboratorio per l’analisi dei tamponi, 30 persone tra personale medico e infermieristico: un cardiologo anestesista direttore dell’ospedale, uno psichiatra, un patologo clinico, un immunologo ematico ma anche un ortopedico, un chirurgo toracico, un medico del 118, un radioterapista e un farmacista. E poi 4 infermieri con esperienza nei reparti Covid, 4 infermieri per area critica, due tecnici anestesisti, due strumentisti, due infermieri con esperienza di emergenza-urgenza, un infermiere di malattie infettive, un M.I.N.S. (Majour Incident Medical Management), un infermiere rianimazione, un infermiere per la sala operatoria un’osteopata, un soccorritore militare medevac e un istruttore BLSD (Basic, Life, Support, Defibrillation).

Insomma un apparato ospedaliero in piena regola ma sottoutilizzato perché per due mesi l’emergenza non ha mostrato la sua faccia peggiore, lasciando respirare i reparti. Ma un ospedale del genere costa allestirlo (due milioni di euro) e anche mantenerlo, e se non lavora a pieni giri è uno spreco. Quindi che si fa?

Riconversione o supporto?

Passano le settimane, i posti all’interno della tensostruttura restano pressoché vuoti. Il 6 gennaio parte una richiesta, indirizzata ad Antonio Belcastro (ex responsabile regionale per l’emergenza), Fortunato Varone (direttore Prociv Calabria), Luciano Portolano (generale di corpo d’armata del comando operativo del vertice interforze) e al sindaco di Cosenza Mario Occhiuto a firma dei dirigenti dell’Asp di Cosenza. Ma non è una lettera in cui si chiede di smantellare i reparti (lo precisano dall’Asp) e trasformare tutto in punto vaccinale, ma è una richiesta di supporto alla campagna. Quindi questo più quello. È un punto importante: «Nessuno ha mai scritto di riconvertire l’ospedale militare, ma semmai di aggiungere ulteriori prestazioni» precisano dall’Asp.

Sta di fatto che da qualcuno l’ordine di riconvertire tutto è partito perché l’Esercito esegue. Da una nota delle forze armate si legge: «Il Comando Operativo di vertice Interforze (Coi) ha dato disposizione, a seguito della richiesta delle autorità politiche e sanitarie locali, di trasformare l’assetto sanitario campale, schierato lo scorso mese di dicembre allo scopo di alleggerire il carico di pazienti Covid dell’Ospedale Civile dell’Annunziata».

La priorità adesso è vaccinare e farlo in fretta, e intanto continuare con i tamponi. Una volta effettuata la conversione molto del personale medico militare viene dislocato altrove.

Torna l’emergenza ma il campo resta com’è

Neanche un mese e mezzo dopo, scoppia l’emergenza contagi. L’Annunziata è ingolfata, reparti Covid vengono aperti e poi chiusi a Cosenza e provincia, interventi vengono rimandati, i pazienti sono costretti in ambulanze senza poter essere smistati nei reparti ormai saturi. La paura, che forse non è mai andata via, torna a valanga.

L’ospedale civile soffre, piegato da un personale all’osso, da infermieri chiamati a fare turni infernali senza neanche garanzie certe sulle prestazioni aggiuntive che vengono chiamati a fare, Oss che mancano.

E allora il pensiero torna lì, all’ospedale militare, dove letti e attrezzature sono ancora a disposizione come i macchinari rimasti nel posto in cui li avevamo lasciati. Perché, e torniamo alla domanda di apertura, ora che ce n’è bisogno non si ripristina così com’era prima?

Giriamo la domanda prima all’Asp, andando a ritroso rispetto al viaggio di andata verso la riconversione in centro vaccini. Dall’azienda rispondono che non tocca a loro fare il primo passo e rimandano la palla alla dirigenza dell’ospedale in quanto gli spazi interni alla tensostruttura, dipendono dalle unità operative dell’Annunziata.

Il direttore sanitario Barbato sul punto è perentorio: «In questa fase le vaccinazioni devono avere un impulso molto importante. E la struttura dell’esercito sta procedendo alle somministrazioni sei giorni la settimana per dodici ore al giorno»

Il sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto, tra i destinatari della prima lettera, dà il suo punto di vista: «I posti letto per gli ammalati “non gravi” all’Annunziata ci sono, non è quello il problema, il punto critico riguarda chi si trova in una condizione molto seria. Quando abbiamo aperto l’ospedale da campo poi sono stati aperti reparti Covid a Cosenza e in altre zone della provincia, ecco perché c’è stata la riconversione in un centro vaccini che funziona molto bene. L’ospedale militare non serve alle urgenze, al più dà ricovero e assistenza per i casi Covid non gravi ma se poi un paziente dovesse peggiorare all’improvviso, bisognerebbe trasferirlo all’Annunziata e saremmo punto e daccapo. C'rano solo tre posti di terapia intensiva all'ospedale da campo e in più, pare, non sia facile reperire medici rianimatori, riattivarlo non risolverebbe l’emergenza. Rimontare tutto si può ma se mancano i medici d’urgenza non serve».

Occhiuto dice di aver scritto una lettera per chiedere di aumentare la capienza della Terapia Intensiva all’interno dell’ospedale militare. «Io sto insistendo ma dipende dalla disponibilità dei loro specialisti perché certo non si può attingere dai medici del nostro ospedale».

Non è plausibile nemmeno l’ipotesi di trasferire pazienti non Covid a Vaglio Lise per far spazio all’Annunziata a quelli contagiati, perché comunque all’ospedale civile il personale al lavoro è già allo stremo. Insomma, le cose cambiano ma i problemi rimangono sempre gli stessi e da questo giro infernale non se ne esce. Almeno per ora.

Giornalista
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