Cosenza, la storia del papà finito nelle mani di un usuraio per curare la figlia: «Non lavoravo ed ero senza soldi»

Mille euro cash per portare la piccola al Bambin Gesù di Roma. La drammatica testimonianza di una vittima: «Non sapevo a chi altro rivolgermi. È stato l’unico ad aiutarmi»

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di Salvatore Bruno
31 maggio 2020
12:37

Tra le tante drammatiche deposizioni raccolte dai magistrati di Cosenza, nell’ambito dell’inchiesta scaturita nell’operazione Alto Tasso culminata lo scorso 29 maggio con l’emissione di cinque misure cautelari, c’è quella di un padre di famiglia disoccupato, costretto a rivolgersi all’usuraio per racimolare i soldi necessari a portare la figlia di tre anni, con un problema osseo ad una gamba, all’ospedale Bambin Gesù di Roma.

Dovevo curare mia figlia

«Ero stato licenziato nel 2014 e neanche la mia compagna lavorava – racconta agli inquirenti – Avevo bisogno di denaro per affrontare le spese di viaggio ed il costo della visita presso uno specialista nella capitale. Per questo mi sono rivolto a Maurizio Bruno (uno degli arrestati, ndr)». I fatti risalgono all’estate del 2016.


Disponibilità immediata

Quando lo Stato è assente ed anche i familiari chiudono le porte per mancanza della volontà o della possibilità di sostenere il congiunto nel momento del bisogno, un cravattaro dietro l’angolo pronto ad aiutarti si trova sempre. Non ti chiede garanzie né buste paga, e nel giro di poche ore ti risolve il problema: mille euro in contanti e prestati sull’unghia.

Interessi da capogiro

«Mi disse che avrei dovuto restituirgliene entro un anno 1.500, di cui 500 a titolo di interessi – ricorda la vittima –. Nel frattempo, per ogni mese, avrei dovuto consegnargli 100 euro al mese se non lavoravo oppure 150 se avessi intanto trovato un lavoro». L’accordo quindi prevedeva, al termine di dodici mesi, la restituzione complessiva di una cifra oscillante tra i 2.700 ed i 3.300 euro. «Io avevo bisogno di quel denaro per curare mia figlia ed ho accettato».

Il sentimento di vergogna

Le vittime di usura sono accomunate da un sentimento di vergogna. Per questo non solo non denunciano gli abusi subiti, ma non li rivelano neppure ai familiari più intimi.

 

«Lavoravo saltuariamente facevo un po’ di tutto. Mi davo da fare pur di guadagnare, anche piccoli lavoretti – confessa l’uomo –. La mia compagna, invece, riprese a lavorare solo dopo un anno e mezzo, non le ho mai chiesto soldi per darli a Maurizio, mi vergognavo, ho sempre pagato con quello che guadagnavo. Lei, all’epoca in cui ho contratto il prestito, sapeva che avevo avuto dei soldi da una terza persona ma non sapeva esattamente da chi, non conosceva neppure i dettagli dell’accordo, anche perché non avrebbe condiviso la scelta».

Non avrei mai denunciato

La vicenda è emersa in seguito ai pedinamenti ed alle intercettazioni operate dagli agenti della squadra mobile, nei confronti dell’indagato. Diversamente, non sarebbe mai venuta a galla: «Io non sarei mai venuto a denunciare nulla perché comunque mi ha prestato i soldi aiutandomi in un momento di difficoltà in cui non avevo nessuno a cui rivolgermi. I soldi me li aveva prestati e quindi mi sentivo in dovere di darglieli».

Giornalista
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