L’inchiesta

Dalla ‘ndrangheta reggina droga e armi alla mala albanese che opera a Roma: la tesi dei magistrati

L’agguato mafioso nei confronti un giovane pluripregiudicato romano, Giancarlo Tei, ora ricoverato in gravi condizioni, rappresenta secondo la Procura della Capitale il capitolo di un nuovo romanzo criminale in salsa calabrese. L’intercettazione: «Mi servono un Ak47, un Uzi M12 Scorpion, poi pistole e 3 o 4 bombe a mano».

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di Vincenzo Imperitura
13 maggio 2024
07:00

Lo hanno colpito da dietro, al rene e a un gluteo. Un agguato vero e proprio, sotto casa e in mezzo alla gente. Un agguato con tutti i canoni della spedizione mafiosa. La vittima, ricoverata in gravi condizioni, è Giancarlo Tei, giovane pluripregiudicato romano che la distrettuale antimafia della Capitale considera l’elemento cerniera tra la banda di albanesi guidati da Elvis Demce e le cosche del crimine organizzato reggino che quella banda rifornisce di coca all’ingrosso, con carichi che arrivano anche a 100 chili per volta.

Un agguato che segna un nuovo punto di non ritorno a Roma tra le bande consolidate e quelle che tentano di guadagnare posizioni sul mercato dello spaccio più importante del continente e che vede coinvolte anche le cosche del reggino. Giancarlo Lei infatti viene considerato dagli inquirenti come «il referente su Roma dei fornitori calabresi». È lui, sostiene la procura romana che proprio in questi giorni ha chiuso le indagini sull’ennesimo traffico di cocaina e armi sull’asse Roma-Calabria, ad essere il personaggio cardine tra i fornitori di San Luca e Siderno e il gruppo di Demce e degli albanesi di ponte Milvio, che quei contatti li avrebbero “ereditati” dopo l’uccisione di Piscitelli, l’ex capo ultrà della Lazio legato mani e piedi con il mondo dei narcos. 


Trenta le persone per cui la procura di Roma chiederà a breve il processo, e tra i nomi degli indagati, oltre allo stesso Tei, spuntano alcuni dei casati di ‘ndrangheta più pesanti della provincia. Nirta, Giorgi, Romeo, Condello: tutti incastrati grazie alle intercettazioni sui dispositivi Skyecc. Ed è proprio dalla lettura delle chat che gli indagati consideravano inviolabili che i carabinieri del nucleo operativo di Roma hanno ricostruito la fitta rete di contatti tra le piazze di spaccio romane e i fornitori all’ingrosso calabresi. Un puzzle fatto di nomi in codice e codici identificativi che certificano il ruolo dei calabresi come fornitori dei “grossisti” che operano nelle redditizie piazze di spaccio all’interno del raccordo: “Zio” e “Spartaco”, “Rangara”, “er Chiappa” e “Noodles”. Tutti ingranaggi di un meccanismo che, una volta avviato, era in grado di garantire fino a 100 chili di cocaina a spedizione sull’asse Calabria-Roma. E che, all’occorrenza, era in grado di recuperare kalashnikov e mitragliette Uzi. 

Il canale calabrese infatti non si occupa solo di rifornire cocaina. All’occorrenza, i narcos possono anche trovare armi da guerra e mitragliette corte da usare per fare «le punture» ai rivali, se il fornitore abituale è momentaneamente impossibilitato a farlo. È lo stesso Demce, anche lui tra i 30 indagati, a raccontarlo durante una conversazione decrittata con il mammasantissima calabrese che si nasconde dietro il codice identificativo “6ffefa”: «Compare, io prima per le armi mi servivo da un mio caro amico di Siderno che le trattava, ma ora è dentro. Voglio comprarmi 20mila euro di armi, potete aiutarmi? Mi serve un Ak47, un uzi M12 Scorpion. Poi le corte mi servono Glok 17, Beretta 9x21 parabellum e qualche 3,4 bombe a mano ananas».

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