Le motivazioni

Processo Epicentro, colpiti i vertici della ‘ndrangheta reggina: «Il loro un controllo asfissiante del territorio»

Le motivazioni della sentenza del procedimento in abbreviato, che ha portato a 53 condanne per un totale di 630 anni di carcere. I rapporti tra i clan e le mire espansionistiche svelati da pentiti e intercettazioni

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di Elisa Barresi
22 marzo 2023
13:01
Processo Epicentro
Processo Epicentro

«In estrema sintesi, i contributi informativi dei collaboratori sono tutti convergenti e indicano inequivocabilmente il ruolo apicale che Giandomenico e Demetrio Condello svolgevano nella cosca omonima». Fondamentali nel disegnare la mappa criminale del mandamento del centro di Reggio sono stati i collaboratori di giustizia. Le loro dichiarazioni hanno dato corpo alle motivazioni della sentenza del processo “Epicentro” che ha visto la conclusione del rito abbreviato con 53 condanne a 630 anni di carcere. Ad emergere è l’attività soffocante che le famiglie storiche della ‘ndrangheta reggina hanno imposto sul territorio. Ma anche l’attività espansionistica verso l’area tirrenica con mire ben precise. Ad essere smantellato è il direttivo di quel sistema mafioso che, da padre in figlio, ha governato gli affari illeciti, dalla seconda guerra di ’ndrangheta in poi.

Le motivazioni

Le motivazioni della sentenza pongono i riflettori sui rapporti tra i vertici criminali che hanno permesso di consolidare e imporre il controllo delle cosche sulla città. Le cosche De Stefano, Tegano e Libri sono state individuate come riferimento di un sistema consolidato nel tempo. 
«Che il passato criminale si intrecci con il presente – si legge nelle carte - è emerso nitidamente in numerose conversazioni intercettate: si pensi al dialogo tra i fratelli Molinetti sull'importanza della storia della propria cosca, ai continui riferimenti che Antonio Libri fa a Filippo Chirico e Antonino Caridi, alla sostanziale ereditarietà dei ruoli apicali per coloro che intendano proseguire nelle attività dei padri».


Le parole dei pentiti 

E le mire espansionistiche delle cosche reggine emergono nelle parole dei pentiti. «Le dichiarazioni riguardanti l'espansione dei Condello sul territorio di Villa San Giovanni erano state significativamente apprese da colui che, proprio per tale condotta, era stato condannato nell'ambito del procedimento Sansone e trovavano ulteriore riscontro nelle coincidenti dichiarazioni del collaboratore Vincenzo Cristiano».

Non solo Villa. Ad essere evidenziate anche «le criticità descritte nella gestione del locale di Gallico che si attagliano perfettamente alle risultanze del procedimento Malefix e a quanto riferito da Chindemi. Quanto, infine, alle dichiarazioni sul ruolo dirigenziale di Demetrio Condello e Giandomenico Condello, non si tratta di una generica attribuzione di qualifiche mafiose ma di informazioni al riguardo ricevute direttamente da due dei capi della cosca che, perciò, nell' attribuire il ruolo mafioso agli odierni indagati, intendevano fare riferimento alla gestione del potere mafioso a causa del quale loro stessi erano detenuti. Pertanto, anche le dichiarazioni di Liuzzo, devono ritenersi particolarmente attendibili. Esse sono perfettamente sovrapponibili con quelle omologhe del Chindemi e si riscontrano reciprocamente quanto al ruolo mafioso di Demetrio e Giandomenico Condello all'interno dell'omonima cosca».

Conclusioni

Personaggi di spicco delle cosche cittadine per i quali sono state, dunque, accertate gravi responsabilità che hanno determinato le 53 condanne in primo grado. «In estrema sintesi può dirsi che l'assoluta gravità dei fatti contestati e della condotta tenuta, la presenza di pregresse condanne (per taluni degli imputati) per fatti di indubbia rilevanza (condotte associative in alcune occasioni o agevolative dell'associazione), che impongono il riconoscimento della recidiva, unitamente all'assenza di qualsivoglia elemento positivo di giudizio, non consente l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche».

La posizione dei Condello

E tra intercettazioni, testimonianze e prove che hanno arricchito il fascicolo di questo processo per i giudici «la generica affermazione di Demetrio Condello di volersi porre al di fuori dai contesti criminali dopo il lungo periodo di detenzione si dimostra in concreto vuota, a fronte dei comportamenti di segno contrario descritti dal collaboratore. Egli, infatti, si attivava nell'ambito della propria cosca per ottenere le informazioni richieste dal Gennaro e beneficiava, a semplice richiesta, di un cospicuo prestito a fondo perduto dal Gennaro in ragione non tanto dei preesistenti rapporti personali ma specificamente del ruolo ricoperto nella sua cosca (non si spiegherebbe altrimenti la decisione di Gennaro di fornire un così cospicuo ammontare di denaro senza adottare alcuna cautela finalizzata a garantirne la restituzione). Ulteriori elementi che corroborano tale conclusione si traggono da altri significativi episodi descritti dal collaboratore.

In primo luogo, egli riferiva che Demetrio Condello gli aveva fatto pervenire in carcere, clandestinamente, un monile (che Gennaro consegnava in sede di interrogatorio a corroborare quanto affermava). L'episodio dimostra come Condello esercitasse il proprio potere mafioso anche in seguito alla propria scarcerazione del 2015, convincendo un dipendente dello Stato a trasgredire ai propri doveri e rafforzando i legami con un imprenditore in affari con la propria cosca».

Sono diversi i passaggi che i collaboratori hanno fatto a conferma di questo ruolo svolto da Condello. «Ancora più significative del permanente ruolo criminale svolto da Demetrio Condello, nell'ambito dell'omonima cosca sono, invece, le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia nel verbale d'interrogatorio del 2.12.2015; allorché Condello aveva chiesto al secondo di sviluppare una sinergia imprenditoriale con Nicola Femia ed i suoi sodali che operavano illegalmente, quali esponenti della ndrangheta, nel settore delle slot e delle macchine da gioco in Emilia Romagna per come accertato nel procedimento n. 599/10 RGNR Bologna, c.d. Black Money. Si tratta, infatti, di una richiesta che si innesta perfettamente nell'alveo delle iniziative assunte dal ramo familiare della cosca Condello in questo settore, per come accertato nei procedimenti c.d. Gambling e Ndrangheta Banking. In altre parole, l'episodio è sintomatico di come Condello fosse tornato operativo nell'ambito delle attività della cosca nel settore del gioco e scommesse».

Ulteriori riferimenti nei confronti di Demetrio Condello provengono dalle dichiarazioni del collaboratore Vincenzo Cristiano. «Egli, in qualità di partecipe alla cosca Bertuca e di uomo di fiducia dei dirigenti Pasquale e Vincenzo Bertuca, aveva avuto rapporti diretti con Demetrio Condello e ne ha descritto compiutamente le condotte che ne testimoniavano il ruolo direttivo. Un primo elemento sintomatico dell'attendibilità delle propalazioni di Cristiano si trae dalla circostanza oggettiva che la cosca Bertuca operava essenzialmente sul territorio di Villa S. Giovanni su cui la cosca Condello era andata espandendo la propria influenza criminale (come accertato nei p.p. "Reggio Nord' e "Sansone). Si tratta, dunque, di fatti riferiti per diretta conoscenza o conosciuti attraverso esponenti qualificati della "ndrangheta che riferivano quanto da loro appreso ad un soggetto di assoluta fiducia e a cui non avevano motivo di dire il falso. Cristiano, forte di tale bagaglio di conoscenze, indicava Demetrio Condello, quale referente della cosca Condello sino al momento del suo arresto nel 2016: più nel dettaglio, nel corso dell'interrogatorio reso il 16.02.2017, Cristiano riferiva dell'ascesa di Demetrio Condello a capo dell'omonima cosca a seguito degli arresti dei precedenti punti di riferimento (temporalmente individuati in Domenico Condello, Bruno Antonino Tegano, Andrea Carmelo Vazzana e Paolo Tripodi), precisando come il subentro di Demetrio Condello a Paolo Tripodi fosse avvenuto a seguito dell'arresto di quest'ultimo».

Giornalista
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