L'imprenditore si ribellò al pizzo e li denunciò, condannati anche in secondo grado

Sostanzioso sconto di pena per Musarella, Caracciolo e Neri. Minacciarono gli operai: «Bisogna mettersi in regola. Dovete andare a parlare ad Archi o qui non si lavora più»
di Consolato Minniti
14 ottobre 2017
12:49

Sono sostanziose le riduzioni di pena per i tre imputati di estorsione nei confronti di un noto imprenditore della città di Reggio Calabria. La Corte d’Appello, infatti, ha condannato Sebastiano Musarella a 7 anni di reclusione. L’uomo, difeso dall’avvocato Lorenzo Gatto e ritenuto dagli inquirenti persona di fiducia del boss Giovanni De Stefano “il principe”, in primo grado aveva rimediato una pena pari a dieci anni e otto mesi. Passa a sette anni la condanna anche nei confronti di Fortunato Caracciolo (in primo grado 10 anni). Sei, invece, sono gli anni di reclusione inflitti a Domenico Neri (in primo grado 9 anni).

La tentata estorsione in centro città

Tutti e tre, fra il settembre e l’ottobre 2015, si erano presentati all’interno di un cantiere, dove si stavano effettuando lavori di ristrutturazione di un immobile in centro città. Senza troppi giri di parole pretesero il pagamento della cosiddetta “tassa ambientale”, spendendo il nome della cosca De Stefano, forse convinti che quel cognome avrebbe indotto l’imprenditore a sottostare alla richiesta. Tuttavia, il noto professionista reggino, che da poco aveva acquistato quel palazzo e lo stava ristrutturando, non ha ceduto alle richieste, sebbene queste siano state reiterate nel tempo. Fra il mese di settembre e ottobre del 2015, in effetti, secondo quanto appurato dalla Dda di Reggio Calabria, Musarella e i suoi accoliti si recarono più volte all’interno del cantiere, proferendo minacce nei confronti degli operati presenti. Il “ritornello” era sempre il medesimo: mettetevi in regola. Che nel linguaggio mafioso significa pagare la tassa alla cosca di turno per evitare che vi possano essere ritorsioni come attentati e danneggiamenti. Ma davanti alla resistenza del proprietario dell’immobile, i tre non hanno disdegnato di ricorrere alle maniere – secondo loro – più convincenti: così hanno intimato al capocantiere di andare a parlare direttamente ad Archi perché «se oggi stesso non va a parlare, da domani non lavora più nessuno qua, anzi voi operai non vi azzardate a presentarvi in cantiere».


La collaborazione con la giustizia

Tutti tentativi vani quelli dei tre malviventi. L’imprenditore, infatti, non ha ceduto di un millimetro e, già dopo il primo episodio, si è recato in Procura per denunciare tutto quanto. Ciò ha consentito agli uomini della Squadra mobile di predisporre dei servizi mirati, nonché attingere alle testimonianze degli operai presenti sul cantiere. Da qui gli arresti e successivamente il processo di primo grado. Nei giorni scorsi la decisione della Corte d’Appello che ha ridotto le condanne, pur confermando la loro responsabilità in ordine agli episodi contestati.

 

Consolato Minniti

Giornalista
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