I tentacoli del clan di San Lorenzo: «Quella fabbrica è nostra»

Così gli uomini della cosca Paviglianiti volevano mettere le mani su un immobile acquistato all'asta da un imprenditore. Nel decreto di fermo contestate diverse estorsioni: «Devi arrangiarmi qualcosa. Dobbiamo pagare l'avvocato». Decisiva la denuncia di una delle vittime. Cafiero: «I cittadini si fidino di noi»
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27 ottobre 2016
15:17

Non voleva denunciare l’imprenditore vittima della cosca Paviglianiti. Era spaventato perché temeva delle ritorsioni. Poi, davanti alle prove inconfutabili portate dai carabinieri, ha dovuto cedere e vuotare il sacco consentendo agli uomini del capitano Gianluca Piccione di chiudere il cerchio. Così, con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso, sono finite in carcere cinque persone ritenute appartenenti al clan Paviglianiti, che opera nel territorio di San Lorenzo, zona dell’area greco-calabra della provincia di Reggio Calabria. Si tratta di Natale Paviglianiti, 46 anni, Natale David Paviglianiti, 23 anni, Salvatore Polimeni, 46 anni, Angelo Fortunato Chinnì, 36 anni, Francesco Leone, 29 anni.


Estorsioni nel Reggino: arrestati cinque esponenti della cosca Paviglianiti NOMI-FOTO


 

Il modus operandi scoperto dagli investigatori è quello classico delle estorsioni, durante le quali ci si fa forza del vincolo mafioso per incutere timore e soggezione all’imprenditore di turno. Solo che in questo caso di mezzo c’era una fabbrica in località “Torre del Salto” a Marina di San Lorenzo che, la malcapitata vittima aveva acquistato tramite asta giudiziaria. Un immobile su cui la cosca voleva mettere e mani. È per questa ragione che il 21 giugno scorso, Natale Paviglianiti si presenta dall’uomo ed esordisce: «Abbiamo saputo che avete acquistato la fabbrica». Alla risposta dell’imprenditore, Paviglianiti replica così: «Non lo sapevate che è dal 1996 che noi siamo interessati alla fabbrica e che abbiamo investito dei soldi?». Insomma, la cosca aveva già deciso: quell’immobile doveva essere il loro. Lo s’intuisce la mattinata successiva, quando Paviglianiti incontra nuovamente la vittima e ribadisce: «Dobbiamo incontrarci perché ho saputo della fabbrica e dobbiamo parlare, perché noi è dal 1996 che gli stiamo dietro». L’uomo, allora, replica che lui quell’interesse non lo poteva conoscere e la risposta di Paviglianiti non lascia spazio a dubbi: «Se non lo sapevi dovevi chiedere. Dobbiamo vederci, eventualmente mi mandi a chiamare». Non si parla qui di pochi spiccioli, ma di un valore pari a oltre 220mila euro.

 

Ma l’attività estorsiva della cosca non si ferma solo all’immobile. Paviglianiti, infatti, deve rispondere anche di un’altra estorsione, questa volta commessa ai danni di un soggetto nel territorio di Condofuri, nel luglio 2016. L’uomo viene avvicinato da Paviglianiti che chiede se «potesse arrangiargli qualcosa», per poi – pochi giorni dopo – chiedere di poter cambiare un assegno postale. La vittima viene costretta a consegnare tremila euro come somma da elargire alla cosca.

 

Un clan che non si accontenta quello egemone a San Lorenzo. Se è vero che fra il dicembre 2014 e il gennaio 2015, Natale David Paviglianiti e Salvatore Polimeni si rendono protagonisti di un’altra contestata estorsione. In questo caso a farne le spese è un supermercato di San Lorenzo Marina, a cui viene chiesta la somma di 5000 euro per far fronte alle spese famigliari, non meglio precisate. Una richiesta che, però, non è accolta dalla vittima che adduce difficoltà economiche. Richiesta del tutto simile a quella fatta da Angelo Fortunato Chinnì e Francesco Leone, i quali, nel settembre 2015, si presentano da un’altra persona e insistono: «Mi manda Ciccio, mi ha detto di dirti se gli puoi arrangiare qualcosa che sarebbe servito per pagare l’avvocato», dice Chinnì. Intimazione reiterata da Leone nei giorni successivi: «Sono venuto per quella questione per cui era prima venuto Fortunato. Vedi se è possibile avere qualcosa». La vittima allora viene costretta a consegnare 2000 euro.

 

Ancora, una nuova richiesta estorsiva viene fatta nell’ottobre 2015, quando Chinnì va a trovare il titolare di uno stabilimento balneare e chiede un “pensiero” per la stagione estiva appena conclusa. Insomma, la cosca voleva una mazzetta come “rata finale” dell’estate 2015. Richiesta alla quale la vittima si rifiuta di aderire. Con conseguente danneggiamento, a distanza di pochi mesi (maggio 2016), quando era ormai in preparazione la nuova stagione estiva.

 

Elementi raccolti dai carabinieri e che oggi hanno portato all’esecuzione del provvedimento di fermo della Dda guidata da Federico Cafiero de Raho che non ha perso l’occasione di ribadire: «Se denunciano tutti, la ‘ndrangheta è destinata a sparire». Un ennesimo appello che, si spera, possa essere accolto dalla popolazione, considerata la celerità con cui le forze dell’ordine hanno agito, stringendo le manette ai polsi dei presunti responsabili di questa ennesima prevaricazione di tipo mafioso.

 

cons. min.

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