Il fallimento dell'azienda confiscata paradigma di un sistema da rivedere

La Ra.Di. srl era leader nella raccolta e trattamento dei rifiuti nella piana di Gioia Tauro. Dopo il sequestro la lunga agonia fino al collasso e alla perdita di 32 posti di lavoro. La Cgil: «Le imprese sequestrate non hanno vita lunga»

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di Redazione
11 dicembre 2018
17:53
I mezzi della Ra.Di
I mezzi della Ra.Di

Un’azienda confiscata che sta per chiudere, 32 lavoratori licenziati e il tema più che mai attuale della gestione delle aziende sottratte alla mafia, che troppo spesso, falliscono. L’ultima in ordine di tempo è la Ra. Di. srl di Palmi, società che fino a qualche anno fa era leader nella piana di Gioia Tauro per la raccolta e la lavorazione dei rifiuti e che da oggi ha decretato la chiusura dei battenti con la conclusione delle procedure di licenziamento. A darne notizia è Valerio Romano, segretario generale della Filcams-Cgil.

 


«Altri 32 posti di lavoro in fumo. La Ra.Di Srl società in custodia giudiziaria ha di fatto concluso le procedure per il licenziamento collettivo del personale – dichiara il sindacalista -. Abbiamo tentato in tutti i modi di trovare soluzione alternativa, come l'affitto del ramo d'azienda, riuscendo anche a mettere insieme ad un tavolo impresa interessata e curatela. Purtroppo domanda ed offerta non si sono trovati. Secondo i custodi giudiziari e gli avvocati nominati per il concordato l'offerta dell'azienda non soddisfa i requisiti del concordato». Una notizia drammatica in Calabria, perché la perdita di 32 posti di lavoro nella nostra regione è ancora di più difficile da digerire, perché il lavoro perso non si rimpiazza con altro in poco tempo. Fin qui la questione legata alla vicenda lavorativa. Il problema generale, però, riguarda la gestione delle aziende sequestrate e confiscate per mafia e che, in molti casi, finiscono con un fallimento.

 

«Oggi più di ieri – attacca Romano - siamo convinti del fatto che le aziende sequestrate per reati di mafia, non hanno vita lunga. Un po’ perché spesso le gestioni delle proprietà non rispecchiavano i reali requisiti di legalità (rispetto dei diritti, dei contratti collettivi ecc.); spesso perché le aziende sequestrate non hanno la possibilità di accedere al credito bancario (paradossale perché le banche finanziano l'imprenditore pseudo mafioso e non lo Stato); un po' perché la legislazione stringente non aiuta le società in custodia giudiziaria e perché, spesso, c’è anche incapacità dei custodi nominati dai Tribunali».

 

Un tema centrale quando si parla di sottrazione di beni alla criminalità organizzata. Lo Stato vince ed è credibile solo se è capace di gestire al meglio le aziende sequestrate creando le condizioni di una buona gestione delle imprese e garantendo il lavoro. «C’è bisogno di fare vivere realtà come la Ra.di. e come tante altre – conclude Romano - perché possono essere ancora occasione di lavoro vero. Il tutto mentre la Calabria soffre di impianti di selezione e smaltimento e riciclo dei rifiuti, in una regione che necessita di impianti, una realtà come questa chiude, nel silenzio generale».

 

La storia della Ra.Di è strettamente legata alle vicende giudiziarie del suo ex proprietario, Carmelo Ciccone. A seguito del suo primo arresto nel 2013, l’azienda è entrata in custodia giudiziaria (una gestione che ha preso il via dopo l’arresto del proprietario della Radi, Carmelo Ciccone, e il conseguente sequestro della società per mafia. Quando però, come fa notare lo stesso Ciccone, le accuse di estorsione aggravate dalle modalità mafiose sono cadute nel processo penale, la confisca è stata attuata solo in riferimento alla turbativa d’asta. Reato per il quale è stato condannato a piede libero).  Dopo un primo periodo di crescita, la Ra.Di è andata incontro ad una flessione, dovuta a diversi fattori, tra i quali il mancato pagamento dei canoni da parte dei comuni, e alla perdita di commesse. Parallelamente, il debito consolidato nei confronti dei dipendenti è andato aumentando durante gestione della custodia. Gli operai, infatti, vantano oltre un anno di stipendi arretrati, più alcune tredicesime e quattordicesime. Oggi, infine, l’amaro epilogo con la formalizzazione dei licenziamenti e la chiusura dell’azienda. Domani i lavoratori e il sindacati si ritroveranno nel piazzale dell'azienda per un'assemblea.

 

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