Un presunto tentativo di ricatto ai danni dell’imprenditore Leonardo Del Vecchio evidenzia il ruolo di Francesco Renda, 49enne di Lamezia Terme, nell’inchiesta sugli spioni: «Tentò di ricattare l’imprenditore chiedendo 70mila euro». I tentativi politici (con poca fortuna) e gli interessi familiari in un’azienda con sede a Bologna
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Inchieste su due gruppi di dossieraggio paralleli, la “squadra Fiore” a Roma e la società Equalize a Milano. E un punto di contatto che passa dalla Calabria.
È una perquisizione disposta nei giorni scorsi dalla Procura capitolina e far emergere il link tra le due inchieste. Al centro dell’attività investigativa c’è Francesco Renda, militare di Lamezia Terme. Renda, 46 anni, è indagato «per essersi associato con persone in corso di identificazione costituendo e gestendo un gruppo criminoso denominato “squadra Fiore”». È il team accusato di «accesso abusivo a sistema informativo di interesse per l’ordine e la sicurezza pubblica, di utilizzazione di segreti d’ufficio da parte di pubblici ufficiali e di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio». Renda è un ex militare del secondo reggimento aviazione, di lui – fino a pochi giorni fa – si conosceva soltanto l’impegno nel sindacato. Secondo i pm della Procura di Roma sarebbe venuto in possesso di «informazioni riservate su Leonardo Maria Del Vecchio» per poi mettere in atto una «condotta intimidatoria» nei confronti dell’imprenditore.
I contatti di Renda con l’hacker di Equalize
Per cominciare, Renda avrebbe contattato Samuele Nunzio Calamucci, hacker che lavorava per Equalize e descritto nel decreto di perquisizione come «fiduciario» di Del Vecchio, «dapprima tramite piattaforme criptate e poi personalmente», per comunicargli «di essere in possesso di dossier reputazionale completo su Del Vecchio con informazioni acquisite su banche dati riservate».
Secondo passaggio ipotizzato dall’accusa: l’ex militare lametino avrebbe recapitato o indotto altri a recapitare a Del Vecchio, «in forma anonima, fotografie acquisite mediante intrusione nella sfera della libertà privata» della vittima del dossieraggio.
Quel materiale sarebbe poi stato mostrato a Calamucci per chiedere «il pagamento di una somma di 70mila euro per evitare la pubblica diffusione delle immagini potenzialmente lesive della reputazione personale e imprenditoriale del manager».
L’ipotesi contenuta nel decreto eseguito dai carabinieri del Ros è che Renda avrebbe compiuto «atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Leonardo Del Vecchio a corrispondere l’importo di 70mila euro da questi dovuto per la salvaguardia della propria credibilità». Lo scopo? «Procurare per sé e per i componenti del gruppo Fiore un ingiusto profitto patrimoniale con altri danni, non riuscendo nell’intento a causa del rifiuto della persona offesa».
I fatti risalirebbero al febbraio 2024 e questa data lega le due inchieste tra le centrali di dossieraggio. Del Vecchio, infatti, come documentato dalle indagini della Procura di Milano, si sarebbe rivolto proprio a Equalize temendo di essere spiato. Forse aveva ragione, viste le ipotesi dei pm capitolini. A spiarlo, per l’accusa, sarebbe stato proprio Renda, che va ovviamente considerato innocente fino al giudizio di terzo grado.
Francesco Renda, tentativi politici senza troppa fortuna
È l’ex militare calabrese il trait d’union tra le due indagini e le due stazioni di dossieraggio. L’hacker Calamucci è poi finito ai domiciliari a Milano assieme all’ex poliziotto deceduto a marzo, Carmine Gallo, ed entrambi compaiono anche a Roma nell’indagine che sta ricostruendo chi commissionasse i dossier e i controdossier.
Renda, primo graduato di truppa (il vecchio caporalmaggiore in servizio permanente), ha anche tentato la strada della politica qualche anno fa. A casa sua, Lamezia Terme, è andata malissimo: ha racimolato soltanto 4 voti. Meglio il tentativo a Sangineto, piccolo centro del Tirreno cosentino nel cui consiglio comunale il militare è riuscito a subentrare dopo le elezioni del 2021 come primo dei non eletti.
Gli interessi economici in Emilia Romagna
Il quotidiano La Verità, nei giorni scorsi, ha ricostruito anche gli interessi economici della famiglia del presunto membro della squadra Fiore. Passerebbero da una ditta con sede in Emilia Romagna, a Bologna, che avrebbe depositato un brevetto per rendere automatico e gestibile da remoto il lavoro di controllo degli ascensori da parte dei manutentori. L’inchiesta di Giacomo Amadori documenta che la ditta avrebbe ottenuto a Bologna, nel 2023 diverse abilitazioni a operare in settori che vanno dagli impianti fotovoltaici alle autostrade, dai viadotti agli acquedotti e gasdotti.
La sede legale, riporta sempre La Verità, dell’azienda legata alla famiglia Rende è un palazzo storico: sulla facciata compare il nome di un commercialista e all’interno, sulla cassetta della posta, sono indicate 22 ditte ma non quella che mantiene un filo con Lamezia Terme. Quel commercialista spiega che «a Bologna hanno solo la sede legale. Io non li seguo dal punto di vista contabile, offro solo un servizio di domiciliazione. Credo facciano tutto in Calabria (…). Tante aziende preferiscono avere una sede legale in una città del Nord piuttosto che al Sud, per una questione d'immagine probabilmente… credo che una sede al Nord sia considerata più presentabile». E poi dice al quotidiano diretto da Maurizio Belpietro di aver tenuto contatti soltanto con Francesco Renda, che pure non comparirebbe nella compagine sociale.