«Gratteri a Milano sarebbe una rivoluzione: sconvolgerebbe la ‘ndrangheta lombarda»

INTERVISTA | Dal ventilato trasferimento nella Capitale meneghina del procuratore di Catanzaro, alle infiltrazioni nella Pa e nella politica del nord Italia: parla Monica Forte, presidente calabrese della commissione regionale antimafia della Lombardia (ASCOLTA L'AUDIO)

di Alessia Bausone
13 maggio 2021
20:33
Monica Forte
Monica Forte

Monica Forte è nata a Cassano sullo Jonio ma è cresciuta a Castrovillari, trapiantata in Lombardia è divenuta consigliera regionale per il M5S e presidentessa della Commissione regionale antimafia, anticorruzione, trasparenza e legalità e vicepresidente del coordinamento nazionale delle commissioni e degli osservatori antimafia. I giovani la definirebbero una “tipa tosta” ed è proprio con lo sguardo rivolto a loro che è iniziata la sua intervista in esclusiva per LaC News24.

Nel mese di marzo si è celebrata la giornata dell'impegno contro le mafie, lei ha sottolineato l'importanza di coinvolgere le scuole, perché?
«I giovani sono il nostro futuro, sono i nostri futuri amministratori pubblici, futuri politici, futuri imprenditori, futuri professionisti. Noi dobbiamo avere come primo obiettivo creare una società che sia fatta da persone che hanno ben presente quali siano i principi di legalità, ma che abbiano anche una formazione per quanto riguarda la conoscenza del fenomeno mafioso. Un fenomeno in continua evoluzione che cambia sempre a seconda del cambiamento del nostro tessuto economico e sociale».


Infatti si è parlato molto di “antimafia sociale”...
«Sì, perché il terzo settore, le scuole e tutta la società civile sono un comparto essenziale per contrastare le mafie. Se pensiamo di combattere il fenomeno mafioso delegando questo compito esclusivamente a magistratura e forze dell'ordine non andiamo da nessuna parte. Importante è anche il coinvolgimento delle istituzioni, della politica che dovrebbe mettere un pochino più in alto nell'elenco delle proprie priorità il contrasto alle mafie».

La Lombardia non è esente da infiltrazioni. Nell'ambito del processo “Crimine-Infinito” che si è concluso di recente il collaboratore di giustizia Antonino Belnome ha dichiarato: ”La Lombardia non esiste senza la Calabria”. Quanto è profonda la penetrazione della 'ndrangheta in Lombardia?
«È talmente profonda che non si può più parlare di infiltrazione ma si deve parlare di radicamento e di colonizzazione. La 'ndrangheta, sfruttando la grande sottovalutazione del fenomeno mafioso che c'è stata qui, ha avuto tutto il tempo e l'opportunità di radicarsi profondamente. Il processo Crimine-Infinito ha proprio evidenziato la presenza di 'ndrine lombarde ma i numerosi processi per mafia che continuano a svolgersi in Lombardia dimostrano che in realtà la 'ndrangheta ha permeato fortemente l'economia legale ed è questa la nostra prima preoccupazione».

Tra l'altro nel processo Infinito che abbiamo citato è stata sciolta l'Azienda sanitaria locale di Pavia...
«Il tema della sanità meriterebbe maggiore attenzione soprattutto in Regioni che destinano l'80% del proprio bilancio proprio al comparto sanitario. Abbiamo anche tanti altri comparti colpiti dalla pervasività delle mafie, il comparto turistico, le attività di somministrazione, la logistica, la gestione dei rifiuti».

Proprio su quest'ultimo tema lei due anni fa aveva lanciato l'allarme ecomafie dicendo che in Lombardia c'era una vera e propria emergenza...
«Il numero di incendi in Lombardia aveva raggiunto limiti da allarme sociale. Abbiamo fatto un focus sul traffico illecito dei rifiuti collegato al fenomeno degli incendi ed è stato evidenziato che questo settore è diventato il core business per le mafie. Questo è quindi uno dei settori particolarmente infiltrati. Il fenomeno negli ultimi due anni ha avuto una leggera variazione. Proprio a seguito dell'allarme sociale suscitato, le mafie hanno preferito investire di più su fenomeni già esistenti ma meno evidenti come lo stoccaggio in aree abusive o abbandonate oppure il traffico transfrontaliero».

C'è anche il tema della movida e dei locali. Francesco Vallone, imprenditore al centro di inchieste sulla 'ndrangheta in Veneto, intercettato dalla Dda di Venezia ha detto che a Corso Buenos Aires, uno dei principali corsi di Milano, “muove tutto zio Luigi” riferendosi al boss Mancuso di Limbadi. Il quartiere di Porta Venezia è “proprietà” dei Mancuso?
«Sono evidenze di tipo giuridico ma francamente non sorprendono queste rivelazioni. Accanto al ciclo del cemento che è l'attività storica delle mafie, quello della ristorazione, delle attività di somministrazione, la movida notturna, tutto quel comparto che ha il vantaggio di incassare molto contante, rappresenta un settore dove l'attività di riciclaggio è molto semplice».

Parliamo di infiltrazioni mafiose negli enti locali..
«Questo è un tema che per la nostra commissione antimafia è divenuto prioritario fin dall'inizio. Regione Lombardia fa una serie di cicli di formazione per gli amministratori locali e dipendenti pubblici. Soprattutto i comuni piccoli che sono quelli di maggiori interesse per le mafie. In questi stessi comuni le amministrazioni pensano che proprio perché sono piccole sono esenti dal fenomeno, ma è proprio il contrario».

L'ex assessore regionale dell'era Formigoni, Domenico Zambetti è stato condannato in via definitiva per voto di scambio politico mafioso. La prima volta in Lombardia, ma siamo davanti a una “pratica” che potrebbe toccare anche qualcuno dei suoi colleghi...
«Certamente sì. Nessuno si può ritenere particolarmente schermato dal ricevere questo genere di tentazioni. Spesso chi accetta questo tipo di compromessi pensa che non ci siano conseguenze a lungo termine. Ricordo che le mafie quando avvicinano lo fanno con l'intenzione di ottenere benefici a lungo termine, sono rapporti che non si spezzano più».

Molte volte è il politico che avvicina il mafioso per avere consenso e voti. Che messaggio possiamo dare ai politici desiderosi di ascesa?
«Il messaggio è comprendete bene qual è il ruolo e le responsabilità che si hanno in capo. Questo ha a che fare con l'etica. Bisogna recuperare il senso etico del ruolo pubblico. Fate uno sforzo aggiuntivo per conoscere questo fenomeno. Lo ripeto, questi accordi possono sembrare convenienti sul momento ma a lungo termine vogliono dire rovinare la propria vita, la propria famiglia, la propria carriera».

Quanta sottovalutazione c'è stata da parte della politica lombarda del fenomeno mafioso?
«Il caso Zambetti è emblematico in Lombardia. È da quel momento che una politica lombarda e le istituzioni lombarde che sottovalutavano e banalizzavano il fenomeno anche solo per una questione di immagine della Regione come se parlare di mafie in Lombardia svilisse il nostro territorio agli occhi degli investitori esteri. Dal caso Zambetti c'è stato un cambio di passo. Ci siamo dotati di una commissione antimafia, di una legge quadro antimafia. C'è stata una presa di consapevolezza forte. Adesso se ne può parlare».

Cosa pensa del possibile arrivo di Gratteri come procuratore capo di Milano?
«Mi farebbe molto piacere. Gratteri ho avuto modo di conoscerlo, so il lavoro che ha fatto alla procura di Catanzaro. Conosco anche la dottoressa Alessandra Dolci, l'erede di Ilda Boccassini. Credo che una accoppiata Gratteri-Dolci scontenterà molti mafiosi, ci sarebbe uno sconvolgimento totale».

Gratteri ha coordinato la maxi inchiesta Rinascita-Scott che ha avuto recentemente un secondo filone che è quello delle Petrolmafie. I media nazionali, però, non ne hanno molto parlato. Perché non c'è attenzione rispetto a questo?
«Ho notato anche io con grande rammarico questa scarsa attenzione. Forse si pensa che sia un tema poco mediatico, poco di massa, ma non è così. La gente vuole sentire parlare di questi temi ed è interessata. Parlare della memoria storica come il maxi processo di Palermo, degli anni 90 è essenziale, però parlare di Rinascita Scott significa fare i conti con l'attuale classe politica dirigente. Forse è più facile parlare del passato perché gran parte di quella classe politica dirigente ha fatto la sua storia, oggi bisognerebbe fare i conti con una responsabilità che ricade in capo a tutti, anche a tutti i partiti politici. Questo bagno di responsabilità che ci costringerebbe a fare parlare di questo processo, forse non è gradito a molti».

Giornalista
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