Parla l’esperto

Il serial killer della Riviera dei Cedri torna a far paura, il criminologo: «Ha riattivato il suo modus operandi, chi si macchia di tali delitti va seguito»

VIDEO | Aveva sparso terrore e sangue negli anni Novanta, ora Francesco Passalacqua è tornato in carcere dopo aver tentato di uccidere un agricoltore mentre era in libertà vigilata. Sul caso interviene il perito Sergio Caruso: «Per i detenuti di questo tipo il vero banco di prova è la società»

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di Francesca  Lagatta
13 gennaio 2024
19:25

Secondo le accuse mosse dalla magistratura, qualche giorno fa avrebbe tentato di uccidere un uomo e questo nonostante la condanna all'ergastolo per aver compiuto una serie di omicidi. Il caso di Francesco Passalacqua, tristemente noto come il "killer della Riviera dei Cedri", ha sollevato un vespaio di polemiche. Com'è possibile, si chiedono in molti, che a un uomo così spietato venga data di nuovo la possibilità di fare del male a qualcuno? La situazione è molto complessa e LaC News24, per cercarne di capire di più, ha intervistato il criminologo Sergio Caruso, allievo del compianto Francesco Bruno e perito in alcuni dei principali casi di cronaca italiana, come, ad esempio, quello della "strage di Erba".

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Il tentato omicidio in regime di libertà vigilata

Il 56enne Francesco Passalacqua, originario di Scalea, è stato ritenuto colpevole di quattro omicidi, tutti compiuti negli anni Novanta, in tre diversi paesi dell'alto Tirreno cosentino. Per il primo delitto, quello del '92, in cui trucidò nel sonno l'autotrasportatore Mario Montaspro, fu condannato a 24 anni di carcere; successivamente, per gli altri omicidi, i giudici inflissero la condanna all'ergastolo. Il serial killer, che all'epoca dei fatti era poco più che ventenne, ha passato più della metà della sua vita in carcere. Poi, un anno fa, i giudici concessero lo sconto di pena e il ritorno in società in regime di libertà vigilata in una comunità parrocchiale di Vergato, piccolo centro della provincia di Bologna. Ma tre giorni fa è stato nuovamente fermato dalle forze dell'ordine con l'accusa di tentato omicidio ai danni di un pensionato. Nelle scorse ore, il giudice per le indagini preliminari ha convalidato l'arresto. Passalacqua, dunque, torna in carcere. «C'era da aspettarselo?», abbiamo chiesto al criminologo calabrese Sergio Caruso.


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«Siamo nel caso più estremo della criminologia italiana - è la sua risposta -, stiamo parlando di un serial killer, di un soggetto che ha commesso degli omicidi in maniera violenta e in sequenza. Non è facile prevedere o analizzare, in linea generale, però tutti i soggetti che si sono macchiati di questo tipo di delitti necessitano di un monitoraggio. Sono necessari una serie di percorsi, soprattutto quando vengono scarcerati. La mente umana è imprevedibile, ma si possono fare delle analisi. Purtroppo la letteratura scientifica dice che questi soggetti tendono a ripetere le azioni violente».

L'attenzione della criminologia

Nonostante la condanna all'ergastolo che ha tenuto Passalacqua lontano dalla società per quasi tre decenni, il criminologo Sergio Caruso e i suoi più stretti collaboratori, lo stesso professore Bruno, la giornalista Fabrizia Arcuri e lo psichiatra Giacomo Pantusa, hanno sempre tenuto alta l'attenzione sulla serie di omicidi commessi. «Passalacqua era un serial killer poco conosciuto rispetto alla casistica, ma estremamente "affascinante" - in riferimento agli spunti che offre il caso - dal punto di vista criminologico».

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Ma perché, dopo quasi trent'anni di carcere e la buona condotta - che ha convinto i giudici a scarcerarlo - è tornato a fare del male? «Una serie di studi - spiega Caruso - ci suggerisce che il killer ha riattivato il suo modus operandi, ha riattivato la scelta del luogo, che non è mai non è mai casuale, ma sempre simbolica. Soprattutto, ha fatto comprendere a tutta Italia che la sua pericolosità sociale, probabilmente, non è mai diminuita. La mia analisi non è una sentenza, perché emettere sentenze è compito dei giudici, ma vuole essere un invito ad analizzare meglio determinate situazioni. Alcuni soggetti, di cui è piena la cronaca, vanno monitorati costantemente, perché si macchiano di nuovi delitti appena escono dal carcere. Li commettono perché per i detenuti di questo tipo il banco di prova non è il carcere, ma la società».

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