’Ndrangheta stragista

Il pentito Fondacaro: «Matacena si presentò come “uomo di Berlusconi”, aveva 2 miliardi in una valigetta»

Lunga deposizione durante l'udienza di oggi del collaboratore di giustizia che, rispondendo alle domande del Pg Giuseppe Lombardo, ha ricostruito i presunti interessi della masso-ndrangheta sulla scena politica nazionale

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di Vincenzo Imperitura
14 novembre 2022
19:34
Giuseppe Lombardo (Foto d’archivio)
Giuseppe Lombardo (Foto d’archivio)

«Alleviare le sofferenze carcerarie»: ci sarebbe questa richiesta disattesa, alla base del cambio di strategia che avrebbe portato la «masso-’ndrangheta» a spostare il proprio appoggio dalla Democrazia Cristiana al Partito Socialista alla metà degli anni ’80. Nel lungo racconto che Marcello Fondacaro rende davanti ai giudici d’Appello del processo ‘ndrangheta stragista, c’è un pezzo importante della storia politica nazionale e regionale. Nel processo, che indaga sulle stragi continentali degli anni ’90, sono imputati il boss del quartiere Brancaccio di Palermo Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, condannati all'ergastolo in primo grado per l'omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo consumato nel 1994.  

L’ex medico e imprenditore sanitario originario di Gioia Tauro, ma con interessi ben piantati a Roma e in Sicilia, diventato da tempo collaboratore di giustizia, ha raccontato in aula degli intrecci che quella stessa politica avrebbe tessuto con le cosche calabresi e siciliane e con le logge – ufficiali e coperte – della massoneria. Un racconto complicato che tira in ballo Berlusconi, Craxi, Galliani e buona parte della nomenclatura socialista calabrese dell’epoca, oltre ad alcune delle famiglie di ‘ndrangheta più influenti.


Un racconto che parla della scalata imprenditoriale e politica dell’ex presidente del Consiglio iniziata sotto l’ala protettiva di Bettino Craxi e che, racconta il collaboratore di giustizia, si intreccia pericolosamente con gli interessi dei Piromalli e dei Mancuso e delle altre ‘ndrine calabresi, a sua volta legate a doppio filo con le logge massoniche.

La scalata alle Tv

«Di Berlusconi sentii parlare la prima volta all’inizio degli anni ’80. Me ne parlarono Nino Modafferi che era l’uomo di Pino “facciazza” Piromalli a Milano e Nino Cedro che rappresentava la famiglia Molè. In Lombardia Modafferi e Cedro avevano una serie di attività immobiliari con il fratello dell’allora ministro Fanfani ed erano in affari con le società edilizie di Berlusconi. Fu lui – racconta ancora il collaboratore di giustizia rispondendo alle domande del Procuratore generale Lombardo – a dirmi che si sarebbero occupati loro, per conto delle cosche dei Piromalli-Molè, dell’acquisizione da parte di Fininvest dei ripetitori delle tv private calabresi attraverso cui ritrasmettere i programmi delle Tv nazionali di Berlusconi».

La svolta craxiana

Siamo a metà degli anni ’80, Craxi è saldamente alla guida dell’allora governo più longevo della storia della Repubblica e, dice ancora Fondacaro, la «masso-ndrangheta» calabrese stava già passando al sostegno verso i socialisti, dopo anni di appoggio massiccio alla Dc. «Ricordo che in una delle mie visite alla sede nazionale del Partito in via del Corso, incontrai in ascensore assieme al mio fratello massone Alberto Santoro, Claudio Martelli che si lamentò con noi del suo risultato raggiunto in Calabria. Era stato proprio Santoro a raccontarmi dell’accordo tra il partito e le organizzazioni massoniche e criminali calabresi. La “masso-‘ndrangheta” era rimasta delusa dai mancati provvedimenti Dc “per alleviare le sofferenze dei carcerati” e aveva mosso le stesse richieste al partito Socialista. I politici calabresi Zito, Zavettieri, Chieffallo e i fratelli Gentile – ha continuato Fondacaro – portarono le istanze ai vertici del partito che le accettarono. Frequentavo la direzione nazionale del Psi e ricordo che qualche anno più tardi, prima dell’esplosione di Mani Pulite, in una riunione all’Hotel Nazionale a Roma a cui ero stato invitato e dove erano presenti i fratelli Gentile di Cosenza, il senatore Sisinio Zito e Saverio Zavettieri, venne annunciata la decisione di Craxi di proporre proprio Berlusconi, in futuro, come candidato premier. Sentii parlare della decisione di Craxi di nominare Berlusconi come suo delfino anche dal gran maestro Loizzo, che mi informò dell’appoggio completo della loggia alle decisioni di Craxi. Sorridenti invece me ne parlò relativamente alla loggia coperta di Gioia Tauro, quella legata direttamente alla P2 di Licio Gelli. Secondo lui anche il “maestro venerabile” Gelli aveva appoggiato il nome di Berlusconi. Craxi e Berlusconi – ha detto ancora Fondacaro – erano in affari assieme, al Partito lo sapevano tutti. Mi accorsi poi che dopo Mani Pulite, il progetto di sostegno ai socialisti si era spostato verso il nuovo soggetto politico, Forza Italia».

La valigetta con i due miliardi

Quello di Fondacaro è un racconto che risale il tempo partendo dagli anni ’80 e attraversando la fase terminale della prima Repubblica e buona parte della Seconda. «Negli anni ’90, durante una riunione a Gioia Tauro a casa dell’avvocato Luppino intervenne anche Matacenal’ex parlamentare reggino condannato in via definitiva per associazione esterna e deceduto a Dubai poche settimane fa – dicendo “sono l’uomo di Berlusconi”. Con sé portava una valigetta con due miliardi di lire da distribuire alle famiglie di ‘ndrangheta della Piana per la sua candidatura nel collegio di Gioia – Palmi».

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