Secondo l’accusa i fatti si sarebbero svolti tra il 2005 e il 2011 a Catanzaro nell’ambito di rapporti economici intercorsi con un imprenditore locale. Resta in piedi la contestazione di associazione mafiosa
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La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso presentato dagli avvocati Tony Sgromo e Antonio Lomonaco, ha annullato con rinvio alcune delle accuse che avevano determinato, nei mesi scorsi, l’arresto di Pietro Procopio nell’ambito del procedimento penale denominato “Clean Money”, disponendo un nuovo giudizio davanti al Tribunale di Catanzaro.
I capi d’imputazione oggetto di annullamento riguardavano un presunto episodio di usura e un successivo tentativo di estorsione, entrambi aggravati dall’ipotesi di metodo mafioso.
Secondo l’accusa, i fatti si sarebbero svolti tra il 2005 e il 2011 a Catanzaro, nell’ambito di rapporti economici intercorsi con un imprenditore locale.
La Suprema Corte ha riconosciuto la fondatezza delle obiezioni difensive, ridimensionando il quadro accusatorio e disponendo che i due episodi vengano nuovamente esaminati nel merito dal giudice di rinvio.
Allo stato, rimane invece ferma la contestazione associazione mafiosa, con la quale la Procura attribuisce a Pietro Procopio un ruolo di direzione all’interno dell’articolazione territoriale della ’ndrangheta denominata clan di Gagliano, operante nell’area nord della città di Catanzaro.

