«... se gli consegni a quelli di modo che loro gli mettono i braccialetti (le manette, ndr), vai…». “Quelli” sarebbero i magistrati della Dda di Catanzaro ai quali Vincenzo Antonio Iervasi avrebbe dovuto raccontare quello che vogliono sentirsi dire pur di ottenere lo status di collaboratore di giustizia ed entrare nel programma di protezione. Questo sarebbe stato il proposito di Luigina Marchio, moglie di Iervasi, presunto capo del gruppo di Cerva, tratto in arresto a settembre 2023 nel corso dell’operazione Karpanthos che ha preso di mira la consorteria "Carpino – Tatraculo” di Petronà alla quale il gruppo di Cerva sarebbe legato.
Al “piano” però, in seguito ad approfondimenti dei carabinieri del comando provinciale di Catanzaro, la Dda non ha abboccato: nel corso dell’ultima udienza del processo con rito abbreviato, infatti, il pm Veronica Calcagno ha dichiarato la non attendibilità di Iervasi depositando in aula una recente informativa dei carabinieri del comando provinciale di Catanzaro che comprende una corposa attività intercettiva tra Iervasi e la moglie.

Iervasi chiede di collaborare a giugno 2024. I militari notano innanzitutto che la scelta di parlare con l’autorità giudiziaria nasce in seguito alla diffusione della notizia che altri due indagati in Karpanthos avevano deciso di collaborare: Danilo Monti e Domenico Colosimo, soggetti di una certa caratura criminale all’interno delle cosche del Catanzarese. I due squarciano il velo su una sanguinosa guerra di mafia che aveva attraversato la Presila catanzarese, con decine di morti dal ’92 al 2006. Per interrompere la faida tra i Carpino e i Bubbo sono dovuti intervenire gli Arena di Isola Capo Rizzuto. Ma questo non impedì atri due omicidi nel 2008 e nel 2010.

La tempestività della richiesta di Iervasi aveva portato gli investigatori a monitorarlo già a settembre 2024. E proprio in quel mese emergono due videochiamate con i familiari nel corso delle quali «emergeva chiaramente come Luigina Marchio – scrivono i carabinieri - spingesse il marito Vincenzo Antonio Iervasi a collaborare pienamente con la magistratura inquirente al fine di poter ottenere l'ammissione al programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia e per i loro familiari. Sul punto, tuttavia, il detenuto evidenziava a più riprese di aver riferito tutto ciò di cui era a conoscenza pur precisando, nel corso di entrambi i colloqui, che avrebbe potuto, durante un eventuale successivo interrogatorio, riferire ulteriori vicende criminali che di fatto la donna dimostrava di conoscere nonostante venissero solo accennate dall'intercettato. A tal proposito, appare opportuno evidenziare che la stessa Marchio, al fine di fare presa sul marito, nel corso del colloquio del 12 settembre 2024, paventava presunte minacce indirizzate alla madre e alla nonna dell'uomo e giunte da Cropani Marina».

Nel corso dei colloqui la donna non solo avrebbe permesso al marito di parlare con «soggetti non autorizzali, alcuni dei quali di interesse investigativo» ma avrebbe anche insistito «affinché il marito rilasciasse dichiarazioni anche sul conto del fratello» e affinché chiamasse in causa e coinvolgesse soggetti che non erano stati ancora indicati dagli altri collaboratori. Iervasi specifica che sul fratello non avrebbe potuto dire nulla perché non aveva commesso azioni penalmente rilevanti.
Così alla domanda del marito: «E cosa gli porto?», la donna suggerisce di fare dichiarazioni su un ex sindaco di Cerva e su un altro soggetto di interesse investigativo, «evidenziando che ciò avrebbe senz'altro assicurato il loro inserimento nel programma di protezione tanto anelato».
«… tu dagli a quelli, fagli prendere il nuovo…», è il suggerimento.

Davanti alle ritrosie del marito la donna sembrava infastidita, scrivono i militari, suggerisce all’uomo di raccontare quello che sa di un fatto di sangue e quando Iervasi le fa notare che quello che sa lo ha appreso dal racconto di un soggetto poi morto in un agguato di ‘ndrangheta, Marchio dice al marito di non farsi scrupoli, di addebitare le responsabilità a soggetti vivi, di dare «nomi nuovi» anche se estranei alla vicenda: «Infama qualche altro amò… amò non ti fare scrupoli… infama qualche altro che è vivo, senti a me… fai come ti dico io».
Questo dialogo, scrivono gli investigatori, non ha bisogno di «ulteriori interpretazioni».

«Non te ne fare scrupoli... infama qualcuno che è vivo... rompiamo tutto ormai... le acque sono rotte Anto... sono rotte malamente nel senso che ci siamo messi a rischio, esposti a tutto e senza niente, dagli tutto quello che vogliono punto... e digli tutto quello che non gli ha detto… quello che non hanno detto loro (secondo i carabinieri intende gli altri collaboratori, ndr)… dagli le novità... dagliele tu... senza piangere con freddezza amò...», dice Marchio al consorte.

Ada Antonio Iervasi e alla famiglia non è stato dato il programma di protezione e nei suoi confronti sono stati chiesti 20 anni di reclusione, senza tenere conto dello sconto per la collaborazione. Alla prossima udienza sono attese le spontanee dichiarazioni di Luigina Marchio.