Italbacolor, tolti i sigilli all'impianto: gli operai tornano al lavoro

La decisione della Procura consente ai dipendenti di tirare un respiro di sollievo. Le operazioni affidate ai carabinieri dell'aliquota radiomobile della Compagnia di Paola

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di Francesca  Lagatta
29 maggio 2019
17:56

Sarebbero bastati ancora pochi giorni e per 79 operai dell'azienda Italbacolor di Fuscaldo sarebbe scattato il licenziamento collettivo. Invece dopo una estenuante battaglia dei dipendenti condotta al fianco delle organizzazioni sindacali, la procura della Repubblica di Paola ha ordinato ai carabinieri dell'aliquota radiomobile della Compagnia di Paola di togliere momentaneamente i sigilli all'impianto, finito sotto sequestro lo scorso 29 marzo. L'ente retto dal magistrato Pierpaolo Bruni ha quindi autorizzato il riavvio delle attività produttive nello stabile accusato, secondo le indagini, di sversare tramite un tubo giallo imprecisata quantità di acque reflue industriali nel vicino torrente Lavandaia. Le attività riprenderanno anche in un secondo capannone, che si trova sempre nell'area urbana di Fuscaldo, anche questo chiuso a seguito del sequestro perché strettamente correlato alle attività del primo. Entrambe operano nel settore di trattamenti superficiali di ossidazione nodica, elettrocolorazione e verniciatura su profili in alluminio, produzione di accessori per serramenti, trasformazione e commercializzazione di sistemi in alluminio per architettura.

Tregua momentanea

Nonostante la bella notizia, l'ottimismo, anche tra i dipendenti, resta cauto. La vicenda, infatti, è tutt'altro che risolta e le indagini vanno avanti a tutto spiano. Di conseguenza, non è escluso che la procura potrebbe emettere altri possibili provvedimenti nei confronti della struttura industriale. L'Arpacal, l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, è stata infatti incaricata di effettuare altri campionamenti per capire se il selenio e l'alluminio rinvenuti, siano fuoriusciti effettivamente dalla vasca di raccoglimento delle acque industriali. Se così fosse, si tratterebbe di un gravissimo danno ambientale, dal momento che il materiale è affluito dapprima nel vicino torrente, poi nel mar Tirreno. Ma i dipendenti lo escludono categoricamente e parlano invece di mezzi e metodi all'avanguardia con cui hanno sempre rispettato la natura.


 

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